- Julie?
- No.
- Farrin.
- Nemmeno.
- No io sono Farrin… cerco Julie.
- La cerca nel posto sbagliato.
- Lei non è Julie?
- No, – risponde la voce indifferente. - Lei chi è?
- Sono Jeff Farrin.
- Bene, Jeff. Lei e la sua Julie potete andarvene tutti e due a quel paese.
- D’accordo ma prima devo trovarla. Viene anche lei?
- Lei chi?
- Lei lei. Viene?
- Io? E dove?
- A quel paese con me e Julie.
- No, non viaggio con gli sconosciuti.
- Ma lei sa chi sono.
Christina riattacca. Che seccatura, pensa. Ma chi era quello? A già, che scema, Jeff Farrell… no, come ha detto di chiamarsi? Farrin, sì. Cerca nell’elenco, lo trova. Fissa il suo nome e per un momento si ricorda la sua faccia. Ma non riesce a ricordare il resto. Chi è, dove l’ha conosciuto. Uff, pensa, qua va sempre peggio.
Christina ha trent’anni. Trema e dimentica le cose, e non sa come evitarlo.
Questa è proprio una di quelle sere. Ci sono quelle sere in cui hai soltanto voglia di piangere. Sere in cui è tutto perfetto: la temperatura, il tuo cuscino, la posizione del letto. Tutto ti avvolge in un abbraccio che ti protegge. Ma hai voglia di piangere. Sembra proprio che non ci sia momento migliore. Si piange meglio quando hai quella sensazione di un abbraccio dall’esterno. Si piange meglio perché sai che durerà poco. Ma il pianto peggiore è quando sei circondato da angoli, e attorno è tutto bianco. In quei momenti piangi disperato, ti sembra che non smetterai mai. Il bianco fa più male del nero. Con il nero, almeno, puoi dormire.
Jeff Farrin riattacca. Guarda la foto sbiadita di Julie. O almeno quella che lui pensa sia Julie. È bionda con i capelli a caschetto. Dietro c’è il numero scritto in penna rossa, quasi sbiadito anche quello. La mano tremava di sicuro quando l’ha scritto, conclude Jeff dopo un attento esame. Scuote la testa rassegnato. Ha capito.
Christina guarda fuori dal finestrino dell’aereo. Nuvole. Non ha finito di mangiare il salmone che le hanno servito per pranzo perché mangiare pesce a un miliardo di metri sopra il livello del mare le sembra una cosa poco normale. Potevano servirmi fagiano, pensa, sarebbe stato più in tema. In compenso il tipo del sedile accanto ha la faccia da fagiano, il profilo appuntito e lo sguardo scuro.
Christina sta scappando da quel mondo che non le appartiene più, non per niente ma non se lo ricorda proprio, quel mondo. Allora tanto vale ricominciare, finché la malattia non la finisce e la lascia lì, a non ricordarsi più nemmeno il proprio nome, o se è il sole a girare attorno alla terra o viceversa. Ma almeno, pensa, prima di morire posso divertirmi un po’.
Si guarda nello specchietto del suo portacipria per cercare di studiare la migliore espressione da funerale che le riesce. Ha trent’anni ma ne dimostra dieci di meno, nonostante tutto. Almeno oggi non trema, ma non ricorda il nome del tizio che ieri l’ha chiamata. J… qualcosa. Cercava una certa Julie, ma cercava lei in realtà. Quando si erano conosciuti gli aveva dato un nome falso, così, tanto non ci guadagnava e non ci perdeva più niente. Però gli aveva dato il numero di telefono giusto, non si sa mai.
- Kingsley -.
- Mmh? Ci conosciamo? – chiede Christina.
- Kingsley, - ripete il fagiano. – È inciso sul suo portacipria.
Bravo sai leggere, pensa Christina. - Era di mio nonno, - dice, invece.
- Scusi, ma che se ne faceva suo nonno di un portacipria? E della cipria?!
- Ci truccava i morti, - risponde Christina con voce indifferente.
Il fagiano strabuzza gli occhi: - Ma è disgustoso!
Non era vero che suo nonno truccava i morti. Non era nemmeno vero che quel portacipria era di suo nonno. L’aveva detto così, per vedere come andava a finire la faccenda. Aveva pensato di dire che suo nonno era trans all’inevitabile domanda di che cosa se ne facesse della cipria, ma poi visto che si preparava al suo funerale (in teoria non serve, al tuo funerale dovresti andarci casual, come capita capita) voleva già entrare nell’atmosfera. Certo che voler entrare nell’atmosfera quando sei in aereo…
- Dove è diretta?- chiede il fagiano interrompendo i suoi pensieri.
- A un funerale -. Il mio, voleva aggiungere.
- Ma allora è un vizio…
- È il mio lavoro -. E con questo che cavolo voleva dire? Niente, ma si stava divertendo un mondo a tenere quel tizio sulle spine.
- Anche lei trucca i… spero non con quella! – continua il fagiano indicando disgustato il portacipria.
- No, non trucco i morti. È un lavoro stupido.
- Sarà contento suo nonno della sua opinione.
- E chi lo sa. È morto –. Questo era prevedibile, insomma, i nonni spesso sono già morti.
- Siamo monotematici…
- Sa com’è, in aereo ci sentiamo più vicini ai nostri cari defunti.
- Se sono in paradiso… - aggiunge l’uomo-uccello, pensando di essere simpatico.
- No. Se l’aereo dovesse precipitare…
Il fagiano ci rinuncia. Inizia a sentirsi anche un po’ nervoso con quella specie di pessimista-cinica che si è ritrovato come compagna di viaggio. Già volare non gli è mai piaciuto, pensava che una conversazione amichevole con una fanciulla dolce e carina… sì, ma dolce e carina non lo era affatto, quella. Sembrava sentire odore di morte ovunque. E in aereo rischia di diventare contagioso.
Christina non si divertiva più. Tutto quel parlare di morti e di cipria l’aveva resa triste. Come diceva quel verso che da un po’ la rincorreva? Il verso di una poesia di Neruda. Era qualcosa sulle chiavi e sul destino. C’entrava con l’amore, più che con la morte, ma pare che le due cose vadano spesso di pari passo. Basta pensare a Romeo e Giulietta, o robe simili. Alla fin fine forse quel Jeff (ecco come si chiamava) avrebbe potuto davvero aiutarla. Quando l’aveva conosciuto gli aveva lasciato il numero, perché era un medico e forse… poi aveva deciso, basta medici. Molte cose le sfuggivano, ma sapeva che non voleva passare il tempo che le restava a rincorrere cure inesistenti per quel suo male raro, strano. Non voleva diventare una cavia. Si sarebbe divertita e riposata un po’, senza preoccuparsi troppo del futuro che non aveva più.
Il fagiano accanto a lei pareva un po’ innervosito. Lei no, ora potevano esserci anche i terroristi in aereo, tanto sarebbe morta presto comunque, sarebbe stato come vivere un film, solo un po’ più avventuroso.
… come se avessi nelle mie mani le chiavi della gioia e un incerto destino sventurato.
Ecco il verso di Neruda. Ecco come si sentiva prima di morire.
- No.
- Farrin.
- Nemmeno.
- No io sono Farrin… cerco Julie.
- La cerca nel posto sbagliato.
- Lei non è Julie?
- No, – risponde la voce indifferente. - Lei chi è?
- Sono Jeff Farrin.
- Bene, Jeff. Lei e la sua Julie potete andarvene tutti e due a quel paese.
- D’accordo ma prima devo trovarla. Viene anche lei?
- Lei chi?
- Lei lei. Viene?
- Io? E dove?
- A quel paese con me e Julie.
- No, non viaggio con gli sconosciuti.
- Ma lei sa chi sono.
Christina riattacca. Che seccatura, pensa. Ma chi era quello? A già, che scema, Jeff Farrell… no, come ha detto di chiamarsi? Farrin, sì. Cerca nell’elenco, lo trova. Fissa il suo nome e per un momento si ricorda la sua faccia. Ma non riesce a ricordare il resto. Chi è, dove l’ha conosciuto. Uff, pensa, qua va sempre peggio.
Christina ha trent’anni. Trema e dimentica le cose, e non sa come evitarlo.
Questa è proprio una di quelle sere. Ci sono quelle sere in cui hai soltanto voglia di piangere. Sere in cui è tutto perfetto: la temperatura, il tuo cuscino, la posizione del letto. Tutto ti avvolge in un abbraccio che ti protegge. Ma hai voglia di piangere. Sembra proprio che non ci sia momento migliore. Si piange meglio quando hai quella sensazione di un abbraccio dall’esterno. Si piange meglio perché sai che durerà poco. Ma il pianto peggiore è quando sei circondato da angoli, e attorno è tutto bianco. In quei momenti piangi disperato, ti sembra che non smetterai mai. Il bianco fa più male del nero. Con il nero, almeno, puoi dormire.
Jeff Farrin riattacca. Guarda la foto sbiadita di Julie. O almeno quella che lui pensa sia Julie. È bionda con i capelli a caschetto. Dietro c’è il numero scritto in penna rossa, quasi sbiadito anche quello. La mano tremava di sicuro quando l’ha scritto, conclude Jeff dopo un attento esame. Scuote la testa rassegnato. Ha capito.
Christina guarda fuori dal finestrino dell’aereo. Nuvole. Non ha finito di mangiare il salmone che le hanno servito per pranzo perché mangiare pesce a un miliardo di metri sopra il livello del mare le sembra una cosa poco normale. Potevano servirmi fagiano, pensa, sarebbe stato più in tema. In compenso il tipo del sedile accanto ha la faccia da fagiano, il profilo appuntito e lo sguardo scuro.
Christina sta scappando da quel mondo che non le appartiene più, non per niente ma non se lo ricorda proprio, quel mondo. Allora tanto vale ricominciare, finché la malattia non la finisce e la lascia lì, a non ricordarsi più nemmeno il proprio nome, o se è il sole a girare attorno alla terra o viceversa. Ma almeno, pensa, prima di morire posso divertirmi un po’.
Si guarda nello specchietto del suo portacipria per cercare di studiare la migliore espressione da funerale che le riesce. Ha trent’anni ma ne dimostra dieci di meno, nonostante tutto. Almeno oggi non trema, ma non ricorda il nome del tizio che ieri l’ha chiamata. J… qualcosa. Cercava una certa Julie, ma cercava lei in realtà. Quando si erano conosciuti gli aveva dato un nome falso, così, tanto non ci guadagnava e non ci perdeva più niente. Però gli aveva dato il numero di telefono giusto, non si sa mai.
- Kingsley -.
- Mmh? Ci conosciamo? – chiede Christina.
- Kingsley, - ripete il fagiano. – È inciso sul suo portacipria.
Bravo sai leggere, pensa Christina. - Era di mio nonno, - dice, invece.
- Scusi, ma che se ne faceva suo nonno di un portacipria? E della cipria?!
- Ci truccava i morti, - risponde Christina con voce indifferente.
Il fagiano strabuzza gli occhi: - Ma è disgustoso!
Non era vero che suo nonno truccava i morti. Non era nemmeno vero che quel portacipria era di suo nonno. L’aveva detto così, per vedere come andava a finire la faccenda. Aveva pensato di dire che suo nonno era trans all’inevitabile domanda di che cosa se ne facesse della cipria, ma poi visto che si preparava al suo funerale (in teoria non serve, al tuo funerale dovresti andarci casual, come capita capita) voleva già entrare nell’atmosfera. Certo che voler entrare nell’atmosfera quando sei in aereo…
- Dove è diretta?- chiede il fagiano interrompendo i suoi pensieri.
- A un funerale -. Il mio, voleva aggiungere.
- Ma allora è un vizio…
- È il mio lavoro -. E con questo che cavolo voleva dire? Niente, ma si stava divertendo un mondo a tenere quel tizio sulle spine.
- Anche lei trucca i… spero non con quella! – continua il fagiano indicando disgustato il portacipria.
- No, non trucco i morti. È un lavoro stupido.
- Sarà contento suo nonno della sua opinione.
- E chi lo sa. È morto –. Questo era prevedibile, insomma, i nonni spesso sono già morti.
- Siamo monotematici…
- Sa com’è, in aereo ci sentiamo più vicini ai nostri cari defunti.
- Se sono in paradiso… - aggiunge l’uomo-uccello, pensando di essere simpatico.
- No. Se l’aereo dovesse precipitare…
Il fagiano ci rinuncia. Inizia a sentirsi anche un po’ nervoso con quella specie di pessimista-cinica che si è ritrovato come compagna di viaggio. Già volare non gli è mai piaciuto, pensava che una conversazione amichevole con una fanciulla dolce e carina… sì, ma dolce e carina non lo era affatto, quella. Sembrava sentire odore di morte ovunque. E in aereo rischia di diventare contagioso.
Christina non si divertiva più. Tutto quel parlare di morti e di cipria l’aveva resa triste. Come diceva quel verso che da un po’ la rincorreva? Il verso di una poesia di Neruda. Era qualcosa sulle chiavi e sul destino. C’entrava con l’amore, più che con la morte, ma pare che le due cose vadano spesso di pari passo. Basta pensare a Romeo e Giulietta, o robe simili. Alla fin fine forse quel Jeff (ecco come si chiamava) avrebbe potuto davvero aiutarla. Quando l’aveva conosciuto gli aveva lasciato il numero, perché era un medico e forse… poi aveva deciso, basta medici. Molte cose le sfuggivano, ma sapeva che non voleva passare il tempo che le restava a rincorrere cure inesistenti per quel suo male raro, strano. Non voleva diventare una cavia. Si sarebbe divertita e riposata un po’, senza preoccuparsi troppo del futuro che non aveva più.
Il fagiano accanto a lei pareva un po’ innervosito. Lei no, ora potevano esserci anche i terroristi in aereo, tanto sarebbe morta presto comunque, sarebbe stato come vivere un film, solo un po’ più avventuroso.
… come se avessi nelle mie mani le chiavi della gioia e un incerto destino sventurato.
Ecco il verso di Neruda. Ecco come si sentiva prima di morire.
Commenti
chissirivede (almeno non da una finestra del sesto piano che butta sul terzo ove persone afflitte da satiriasi osservano dodicenni alla fermata del bus)
[sempre una piccola recensione di un libro messa giu' così]. Tuttalpiù muoio e' stato uno dei migliori libri che mi hanno regalato negli ultimi tre Natali.
Ma tu, sei stata la prima a farsi i capelli rossi a San Giovanni?
Ciao, m.
Capelli rossi? Mai fatti rossi, al massimo prugna ma faceveno cacà [non è vero, stavo benino].
Ciaooooo
p.s. come diceva Amleto: non conosco sembra. Quindi sempre andava bene lo stess' :P
anch'io mi persi a pnlegge Timi, ma non lasciamoci in/Timi/dire.
Ah, non era per sapere delle tue follie sul cuio capelluto, era una analogia tra la mamma di Filo che stava a San Giovanni e San Giovanni di Casarsa.
Il link e' cosa buona e giusta.
Ps: non abusare coi "quindi"!
:) m.
un anagramma. Buon divertimento, visto che lavori con le parole.