C'è un certo genere di "cautele" che tradiscono una discriminazione mascherata da "tolleranza" (parola che odio, perché presuppone che io, che sono nel giusto, tollero te, che sei nell'errore o nel non-giusto, perché sono dotato di un'infinita magnanimità, non merito anche un applauso?), da attenzione alle esigenze dell'altro, "diverso" da noi, eccetera eccetera. Come quando uno dice che "tal dei tali mi fa anche pena poverino, e allora..." ma pena di che? Voglio dire, a me non fa pena praticamente niente e nessuno, perché voglio dire, dall'alto di quale piedistallo mi dovrei ergere per provare pena per una persona che si trova in difficoltà, o che si trova addirittura soltanto in una condizione diversa dalla mia, che forse potrebbe provocargli delle difficoltà nella vita, ma forse anche no? Io sotto i miei piedi non vedo piedistalli. Non perdo tempo a provare pena, piuttosto se mi è possibile mi prodigo per aiutare quella p...
è soltanto una riscrittura della realtà.