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Il bandolo della matassa

Quando ho bisogno di riconnettermi, con la realtà oppure con me stessa, ci sono due tipi di luoghi in cui mi trovo davvero bene: uno è la montagna, o comunque un posto in mezzo alla natura che sia poco frequentato, lontano dai rumori umani. L'altro è la libreria.
Sabato pomeriggio il tempo non era granché e mi sono rifugiata in libreria. Come in mezzo al bosco prendi un lungo respiro di aria pulita, anche lì ho chiuso un attimo gli occhi e preso un lungo respiro prima di iniziare a orientarmi. Potenzialmente, come in montagna, se non fai attenzione ti puoi perdere, e anche fra gli scaffali della libreria, per quanto tu sia un assiduo frequentatore, il rischio è di smarrirsi. Le proposte sono tantissime ed è difficile scegliere, o almeno soffermarsi su quelle giuste.

Non amo leggere mille trame nelle bandelle per poi ritrovarmi a non sapere cosa scegliere perché nulla mi convince o troppe cose mi convincono. Perciò di solito entro con un'idea precisa e poi mi lascio ispirare da quel che vedo intorno. Spesso esco con tutt'altro rispetto all'idea iniziale, ma non importa, l'importante è avere un metodo. Mi rassicura.
Anche sabato avevo delle idee, ma non ho trovato quello che cercavo. Eppure non mi sono discostata molto: ho scelto un autore che avevo già in mente, solo un altro libro, un altro con cui si va sul sicuro, un "classico" di cui rimando da tempo la lettura e il libro di un autore che ultimamente mi ha preso molto.
Long story short, ecco i titoli:

Babilonia, Yasmina Reza.
Cito dalla bandella: «Tirando con la consueta, stupefacente maestria le
fila di una vicenda in cui il comico e il tragico si mescolano in maniera inestricabile come in una sorta di perverso vaudeville, Yasmina Reza dà voce alle angosce più segrete, e mette in scena il suo beffardo teatrino della crudeltà scavando ancora una volta in quello spazio di connivenze e mostruosità che può diventare la coppia; e ci ricorda […] che ciascuno vive in esilio: da se stesso, da ciò che avrebbe voluto essere, e dagli altri.»
Io amo la sua scrittura, e mi maledico ancora per non aver letto Il dio del massacro prima di vedere il film di Roman Polanski, Carnage. Ma recupererò lo stesso, prima o poi.

Lessico famigliare, Natalia Ginzburg.
Non ha certo bisogno di presentazioni, eppure non l'ho ancora mai letto. La cosa a cui però penso ogni volta che penso a questo libro e al motivo del titolo, sono tutte quelle parole ed espressioni che davvero diventano quasi un linguaggio in codice comprensibile solo all'interno del nucleo familiare. Ce l'avevamo con i nostri genitori, ma ne abbiamo creato uno anche qui. Anzi, ancora di più, perché se quello della famiglia dei genitori derivava soprattutto dal dialetto, a casa nostra invece è la sagra delle parole inventate o storpiate.
Giola-fa:  abbiamo chiamato a lungo così nostra figlia, da appena nata fino a quando è diventata troppo grande per essere chiamata ancora fagiola, o fagiolina. Perché Giola-fa? Non lo so, ma di sicuro ci ha ispirato il "nogra" di Maurino nel film Il ras del quartiere.
Zuppatate: la zuppa di patate sintetizzata da mia figlia quando aveva circa tre anni.
Ma anche espressioni tipo: storie di brufoli, riferito alle vicende amorose più o meno "tragiche" dell'adolescente; oggi sono un po' groot, per dire che sei un po' giù di morale (ovviamente questo dopo aver visto Guardiani della Galassia); e naturalmente, ma questo troppo facile, "smarmella" per dire di aprire tutte le finestre al mattino.
Da linguista mancata, non posso che amare tutto questo.

L'umiliazione, Philip Roth.
Ho come l'impressione che con Roth non si sbagli mai, questo era un titolo di cui non ricordavo di aver letto nemmeno la trama e non è molto lungo, perciò ho pensato che possa essere giusto per quando dovesse capitarmi di aver bisogno di qualcosa che si legge senza fare fatica. Non che Roth non ti faccia andare in profondità, ma lo fa senza darti l'idea di doverti sforzare troppo.
La quarta dice: «Un lungo viaggio verso la notte, in cui Roth racconta i mezzi che usiamo per convincerci della nostra solidità, le rappresentazioni che nella vita diamo di noi stessi: talento, amore, sesso, speranza, energia, reputazione.»
Mi pare in linea con il periodo.

La tristezza degli angeli, Jón Kalman Stefansson.
Ormai è diventata una specie di ossessione.
Scherzo, non è vero, ma anche questo titolo fra i suoi mi era finora sfuggito, quindi mi piaceva l'idea di prendere qualcosa di cui non avevo letto nulla, andare un po' più alla scoperta invece di stare sul sicuro. E so che Stefansson va bene per quando ho bisogno di poesia, dovesse anche aspettare il prossimo autunno, intanto è lì, sullo scaffale. Nella quarta c'è una citazione dal libro:
«Siamo a bordo di una barca che fa acqua, e con le nostre reti marce vogliamo pescare le stelle.»
Anche questo mi pareva in linea con il mood del periodo.

Adesso sto leggendo Il soccombente di Thomas Bernhard, che ha invece una scrittura particolare e di tutt'altro tipo, anche se ci vedo un po' un collegamento con Roth per la questione talento e la rappresentazione di noi stessi e del nostro posto nel mondo.

Bonus: serie tv top che abbiamo iniziato da poco al momento è The Diplomat, di cui amo i dialoghi brillanti.
Bonus 2: faccio fatica a seguire i podcast ma Globo (un podcast sugli esteri) del Post mi piace molto, e anche Comodino (quest'ultimo di libri, ça va sans dire).

Per il resto, cerco di tenere tutto insieme.

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