Passa ai contenuti principali

Una me perduta

L'anno è iniziato ormai da un po' e sto cercando di capire che direzione voglio dargli. Perché è stato un periodo un po' caotico, nella mia testa.
Ho approfittato delle vacanze per andare a correre tanto e per leggere tanto, e devo dire che ne sono stata felice. Vorrei continuare con entrambe le cose, almeno per il tempo che mi è concesso al di là del lavoro, e credo di aver bisogno di fare qualcos'altro per sentirmi meglio.
Nei momenti difficili, quando il loop di pensieri negativi porta pericolosamente verso i confini del dirupo, il modo migliore per voltargli le spalle è impegnarmi in qualcosa di concreto che mi faccia sentire meglio. Un'esperienza che mi migliori, una cosa nuova mai fatta prima, insomma, qualcosa di questo tipo. Già riprendere abitudini buone un po' abbandonate ha aiutato. È come un bisogno di sentirmi più completa, più arricchita.
Ieri sono andata a correre, ho fatto 7 km in mezzo a una nebbia abbastanza bassa. Avevo la sensazione che stesse cadendo il cielo, ma stranamente non mi sono sentita oppressa da quella vista, forse perché ho cercato di mantenere la mente sgombra, concentrarmi sui muscoli delle gambe, sul respiro, sul battito del cuore. Ho ancora oggi impressa la fatica nei muscoli e mi fa stare bene.
Stamattina, molto presto, ero già sveglia e mentre cercavo di riaddormentarmi è arrivata mia figlia che aveva fatto un brutto sogno. Non me l'ha voluto raccontare, come sempre, ma si è accoccolata a me, e io l'ho consolata un po' mentre immaginavo che il suo brutto sogno e i miei pensieri difficili si unissero in un groviglio che abbracciate potevamo annullare.
Forse è stato davvero così.
Ci sono momenti in cui sì, vorrei stare spenta e basta eppure il cervello viaggia a mille all'ora. E scende in stanze che sarebbe meglio evitare, con ombre che sarebbe meglio non risvegliare. Altre volte finisce in buchi scavati da me dove si sviluppano cose inventate da me e tremendamente dolorose. Credo che la parola giusta sia autosabotaggio, ma non ne sono proprio sicura.
Allora prendo un respiro e riavvolgo. Una cosa alla volta, basta con il dolore autoinflitto totalmente privo di senso.
A volte funziona, a volte meno.
A volte vorrei un cuore un po' più semplice, una testa un po' più moderata.
Una decina di anni fa, lo ricordo bene, incedevo con una spensieratezza che credo di aver perso. Pensavo di poterla ritrovare, ma se la colpa è l'età... allora non lo so. Se è il mondo fuori, allora sono spacciata. Se è il mondo dentro ci posso lavorare ancora, almeno questa è la speranza.
Non soccombo, ed è un bene, ma ogni tanto trovo faticoso portare ancora avanti tutto quel peso, mi sento drogata di distrazioni e facile alle crisi di astinenza. Indebolita e annebbiata.
Un problema del nostro tempo, suppongo.
Vorrei invertire la rotta, o almeno correggerla un pochino perché a volte mi sento sull'orlo del corto circuito.
E comunque non vedo l'ora ricominci coro che è fra le cose che mi tiene lontana dagli schermi e mi fa sentire davvero bene e in pace con me stessa.
A ver qué pasa.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il mondo muto di Hector Mann

Insomma, Paul Auster. Il libro delle illusioni . David Zimmer è un professore universitario che d'improvviso perde tutto ciò che ama, in un modo che naturalmente sottolinea attraverso una serie di coincidenze: se non avessi, se l'insegnante di mio figlio non avesse, se... Ma è andata come è andata. Si rinchiude nel suo dolore e nelle bottiglie di whiskey quando, un giorno, guardando a caso una scena di un film muto, ride. Allora non tutto è perduto!, pensa. Sono ancora vivo. E così cerca di scoprire qualcosa su questo attore, Hector Mann, che è riuscito a farlo ridere in un momento tanto disperato. E scopre cose molto interessanti. Tipo che dopo il 1929 è sparito e di lui non si sa nulla. Sicuro come l'oro, ormai è morto. Decide di vedere tutti i suoi film, ma per farlo è costretto a viaggiare. E il fatto di dover anche prendere l'aereo non è cosa da poco, per lui. È interessante anche il suo incontro e dialogo con il dottor Singh, per farsi prescrivere de...

Tuffi

Cercando un'informazione di cui avevo bisogno fra i messaggi WhatsApp con mio marito, ho trovato conversazioni risalenti a una delle tante vita di prima, più precisamente quella in cui nostra figlia era molto piccola e io lavoravo solo il pomeriggio. Trascorrevamo le mattinate insieme, inforcavo la bici e la portavo al parco, tornavamo a casa e faceva un riposino mentre preparavo il pranzo, insomma, tutte quelle cose che mi sembrano lontane anni luce, ormai. È stato un momento molto tenero, con svariati piccoli tuffi al cuore al comparire di una foto di lei addormentata sul divano mentre guardava George la scimmia o di quando ancora mangiava il pesce senza lamentarsi. Durante le vacanze, un giorno eravamo in acqua a San Vito lo Capo e Ale le stava facendo fare i tuffi in acqua, a proposito di tuffi, e a un certo punto ha detto: "Godiamocela finché è ancora così, perché durerà ancora poco". Altro tuffo al cuore. Uccisa. Vacanza rovinata. Grazie tante. No, scherzo, però ci ...

Senza podio

A volte la sensazione è come essere in un bel posto, bellissimo perfino, un prato accanto a un bosco, il sole che filtra fra i rami, non fa né troppo caldo né troppo freddo, non c'è troppa luce né troppo buio, l'erba non punge perché non è stata appena tagliata, ma non è troppo alta e incolta, non ci sono moscerini fastidiosi, solo farfalle multicolori e api che si posano sui fiori ma non troppo vicine da spaventarti. Sei su una coperta, c'è un cestino da picnic, la compagnia è ottima, il cielo è terso, la brezza leggera, i sandwich gustosi. E poi all'improvviso ti ritrovi in mezzo a una pista da corsa, deve aver piovuto perché è tutto bagnato a terra ma ora nell'aria carica di umidità c'è una specie di nebbia sospesa, non toglie la visuale ma toglie il fiato, il cielo è grigio, la gara non sai nemmeno se è iniziata o quasi finita, per il semplice motivo che nemmeno sapevi ci fosse una gara, eppure hai il numero appuntato al petto, ma il traguardo è lontano, o f...