17, 18 e 19 marzo sono sempre giornate molto strane per me. In generale giornate come tutte le altre, quando non sono particolarmente consapevole di che numero del mese sia, mentre basta che mi caschi l'occhio sul calendario, su una di quelle insegne luminose che oltre alla temperatura recano la data, e mi ricordo.
Dodici anni fa il 17 marzo non pensavo a uscire a bere una birra con la scusa di St. Patrick a cui anche le birrerie nostrane ormai iniziavano a aderire, ma andavo a trovare mio padre in ospedale per quella che non sapevo sarebbe stata l'ultima volta. Anche se un po' l'avevo intuito, e diciamolo, per come stava da un po' forse perfino sperato. Che smettesse di stare male.
Non sono stata una gran figlia per mio padre, suppongo, come non è stato lui il migliore dei padri con noi. Non lo dico né con cattiveria né altro, lo dico con una certa consapevolezza. Consapevolezza che la distanza può fare questo. Consapevolezza che siamo stati entrambi un buon padre e una buona figlia, ma che si poteva fare meglio. Che la distanza non ha aiutato nessuno dei due a fare meglio. Che non penso ce l'abbiamo messa tutta.
Ma il 17 di dodici anni fa era una domenica e sono andata in ospedale, io totalmente incapace di stare accanto a una persona che stava così male, ma sono rimasta lì, non capivo cosa mi diceva e si lamentava, ho provato a chiamare un infermiere che probabilmente l'ha un po' sedato per calmarlo, non lo so, i ricordi sono anche un pochino confusi. Però so che un po' me l'aspettavo. E mi ha detto una cosa di mia mamma che non dimenticherò. Sono contenta che l'ultima cosa comprensibile che mi ha detto sia stata quella.
Il 18 al mattino mi sveglia la telefonata di mia mamma che mi dice che mio papà è morto. Mi ero fermata a dormire da Ale quella notte per fare meno giri visto che poi sarei dovuta andare a lavorare dal notaio. Se ci ripenso, che periodo orribile anche per quello, ho odiato il lavoro dal notaio come poche altre cose al mondo. Probabilmente avevo iniziato da meno di una settimana e non avevo nemmeno ancora l'auto, per questo mi ero fermata a dormire da Ale, per poter dormire un po' di più ed evitare di dover prendere il treno presto. Senza considerare che mi metteva sempre così ansia andare in quell'ufficio.
È stato un marzo molto buio, quello, con tutto che la primavera era alle porte.
E il 19, che è la festa del papà, mi lascia sempre l'amaro in bocca. E così sono sempre giornate strane.
Quando non c'era ancora Dafne pensavo a quanto gli sarebbe piaciuto Zuma, a lui che adorava i cani, nonostante il mio cane ci abbia messo una vita a diventare affettuoso e avrebbe avuto solo paura di lui, che era un omone.
Ora che c'è Dafne penso a che nonno divertente e giocoso sarebbe stato.
Ma è così, certe cose non sono destinate a essere e non saranno mai, e restano solo nell'ambito delle ipotesi, dell'irrealizzabile. Come un disegno che non può prendere vita per quanto vivaci siano i colori che ci metti, o come quando chiudi un libro sull'ultima pagina e sai che tutti quei personaggi lì dentro, e tutte le loro vicende, le loro passioni, i loro errori e i loro successi, ogni cosa resterà solo lì dentro. Ma comunque ti mancano.
[Il disegno si intitola Lucky, è di Gabrielle Rul, di cui posso dirmi vagamente innamorata. Anche se è una donna.]
Dodici anni fa il 17 marzo non pensavo a uscire a bere una birra con la scusa di St. Patrick a cui anche le birrerie nostrane ormai iniziavano a aderire, ma andavo a trovare mio padre in ospedale per quella che non sapevo sarebbe stata l'ultima volta. Anche se un po' l'avevo intuito, e diciamolo, per come stava da un po' forse perfino sperato. Che smettesse di stare male.
Non sono stata una gran figlia per mio padre, suppongo, come non è stato lui il migliore dei padri con noi. Non lo dico né con cattiveria né altro, lo dico con una certa consapevolezza. Consapevolezza che la distanza può fare questo. Consapevolezza che siamo stati entrambi un buon padre e una buona figlia, ma che si poteva fare meglio. Che la distanza non ha aiutato nessuno dei due a fare meglio. Che non penso ce l'abbiamo messa tutta.
Ma il 17 di dodici anni fa era una domenica e sono andata in ospedale, io totalmente incapace di stare accanto a una persona che stava così male, ma sono rimasta lì, non capivo cosa mi diceva e si lamentava, ho provato a chiamare un infermiere che probabilmente l'ha un po' sedato per calmarlo, non lo so, i ricordi sono anche un pochino confusi. Però so che un po' me l'aspettavo. E mi ha detto una cosa di mia mamma che non dimenticherò. Sono contenta che l'ultima cosa comprensibile che mi ha detto sia stata quella.
Il 18 al mattino mi sveglia la telefonata di mia mamma che mi dice che mio papà è morto. Mi ero fermata a dormire da Ale quella notte per fare meno giri visto che poi sarei dovuta andare a lavorare dal notaio. Se ci ripenso, che periodo orribile anche per quello, ho odiato il lavoro dal notaio come poche altre cose al mondo. Probabilmente avevo iniziato da meno di una settimana e non avevo nemmeno ancora l'auto, per questo mi ero fermata a dormire da Ale, per poter dormire un po' di più ed evitare di dover prendere il treno presto. Senza considerare che mi metteva sempre così ansia andare in quell'ufficio.
È stato un marzo molto buio, quello, con tutto che la primavera era alle porte.
E il 19, che è la festa del papà, mi lascia sempre l'amaro in bocca. E così sono sempre giornate strane.
Quando non c'era ancora Dafne pensavo a quanto gli sarebbe piaciuto Zuma, a lui che adorava i cani, nonostante il mio cane ci abbia messo una vita a diventare affettuoso e avrebbe avuto solo paura di lui, che era un omone.
Ora che c'è Dafne penso a che nonno divertente e giocoso sarebbe stato.
Ma è così, certe cose non sono destinate a essere e non saranno mai, e restano solo nell'ambito delle ipotesi, dell'irrealizzabile. Come un disegno che non può prendere vita per quanto vivaci siano i colori che ci metti, o come quando chiudi un libro sull'ultima pagina e sai che tutti quei personaggi lì dentro, e tutte le loro vicende, le loro passioni, i loro errori e i loro successi, ogni cosa resterà solo lì dentro. Ma comunque ti mancano.
[Il disegno si intitola Lucky, è di Gabrielle Rul, di cui posso dirmi vagamente innamorata. Anche se è una donna.]
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