Nina adorava studiare il latino. Già da quando, alle medie, aveva iniziato a seguire un corso fuori dall'orario scolastico. Un corso che non era obbligatorio e che era solo "consigliato" a quegli studenti che avrebbero frequentato il liceo l'anno dopo. Lei e pochi altri si fermavano un'ora in più con il prof di italiano e imparavano le prime declinazioni e le prime delizie (o gli orrori, dipende dai punti di vista) di quella lingua che tutti chiamavano morta.
Nina ora non era più alle medie, ma sedeva su uno dei tre scalini che dividevano il piano della sua aula dal corridoio che portava al Lazzaretto, come veniva chiamato il corridoio dei secchioni, quello su cui si affacciavano le classi che facevano un'ora in più, una lingua in più... tutto in più.
Le piaceva sedere lì perché, con gli intervalli alternati, mentre lei ripassava il De bello gallico gli altri erano ancora in classe a fare lezione.
Nina, con il suo mozzicone di matita in mano e le scritte fitte fitte sopra i testi in latino di Cesare si sentiva in un altro posto e in un altro tempo. Come se fosse là, con Cesare, a conoscere i popoli della Germania e quel capellone di Vercingetorige.
Ed era felice. E pensava a tutti quelli che la denigravano. A quelli che "Poi con chi lo parli, che è una lingua morta". "Smettila di stare sempre sui libri, aiuta piuttosto tua madre in casa". "Studia, studia, e poi non sa nemmeno stirare una camicia".
Nina non si lasciava scalfire da quei commenti. Nemmeno da quelli del padre, che non capiva e diceva "Ma a che cosa ti serve?"
Quando al liceo un prof aveva detto che studiare il latino sarebbe comunque servito a imparare un metodo, a imparare a tradurre, a capire come funzionano anche le altre lingue, era stata contenta ma anche un po' dispiaciuta. Quell'inutilità che la faceva sentire quasi ribelle le era venuta a mancare. Adesso avrebbe avuto una risposta sensata, che tanto sarebbe stata accolta con qualcosa di simile a un "Pfui".
Aveva immaginato, quella volta, di strappare ogni singola pagina del quaderno di latino, dove con tanta attenzione e pazienza aveva vergato le sue versioni, ma di strapparle con cura e delicatezza, farle a pezzi più piccoli, appallottolarli uno a uno e infilarseli in bocca, e poi andare in giro a sputarli in faccia a ognuno di loro.
Al prof delle medie che sosteneva che in gita i mancini dovevano mangiare con la destra perché era più educato.
A quello del liceo, che non era nemmeno della sua classe, che diceva che non si combatte contro i mulini a vento.
A suo padre, che non capiva perché arrovellarsi sulle cose che non producevano nulla.
Ai produttori di camicie e di ferri da stiro.
Una pagina dopo l'altra avrebbe distrutto il suo quaderno di latino per sputarlo in faccia a tutti quanti.
Fatto questo, si sarebbe sentita in pace.
Ora Nina è in pace e va avanti per la sua strada. Le camicie non le sa stirare tanto bene, ma si arrangia. Le è avanzata ancora qualche pagina da sputare, ma ormai non le importa nemmeno più.
Commenti
La felicità prima di tutto, però :)
Moz-
@bob le camicie mi ha insegnato mio marito a stirarle, lui deve usarle per lavoro e se le stira, ma in caso di emergenza almeno posso dargli una mano ;)