Passa ai contenuti principali

Aperture/chiusure

Le formalità. Quelle cose insipide, odiose e noiose che le persone ti vendono come "verità rivelate". Inutili, ipocrite. Non ho mai sopportato quel genere di cose. Quelle che sembra che ci sia solo un modo per farle. Non c'è mai solo UN modo.
Dare del lei. In inglese si dà del tu a tutti, e il rispetto rimane. Spesso un "vaffanculo" sincero è più rispettoso di un "buongiorno/buonasera, tutto bene? E la famiglia? bla bla bla" e in realtà la persona con cui stai parlando ti sta sul cazzo. Trovo che sia più rispettosa la prima forma. Essere finti non paga mai. E ti rende una persona parecchio triste.
La famiglia. Genitori e figli sono una famiglia, ma anche due persone che convivono sono una famiglia, e per quanto mi riguarda anche un uomo che vive solo con il suo cane sono una famiglia. Nell'appartamento sopra il nostro abitano due signore: potrebbero essere sorelle, cugine, amiche, o forse sono una coppia, indipendentemente da ciò io le vedo come una famiglia, e senza fare sforzi.
Finché rimani chiuso nel tuo piccolo mondo di convinzioni sulle quali ti sei arroccato, hai alzato muri e non lasci spiragli, non crescerai mai, come persona. Aderire alla norma non può essere la risposta. Ognuno dovrebbe crearsi la norma che va bene per sé, senza ovviamente prescindere da alcuni punti fondamentali, tra cui spicca il rispetto degli altri e della loro felicità.
Se l'uomo, in quanto umanità, non avesse fatto che aderire alle norme e alle tradizioni, be', come minimo noi donne saremmo ancora in giro con il velo e il capo coperto (perché non è che sia la prerogativa delle donne arabe, fino a non poi tanti secoli fa la moda era quella anche da queste parti) e le caviglie sarebbero senz'altro un bel tabù. Per fare un esempio. Senza apertura non si può progredire, e ognuno nel suo piccolo dovrebbe farlo. Non si può costruire la propria "casa" sulle fondamenta della paura. E bisognerebbe smettere di preoccuparsi di cosa potrebbero poi gli altri pensare di noi.

Io non sono mai stata "uguale" agli altri. Ma in fondo, chi lo è? Ho sempre scelto per me, perché i miei genitori, con tutti i loro difetti e i loro errori, se c'è una cosa che mi hanno insegnato è stata quella di scegliere per me.
Genitori non credenti che mi hanno detto: se vuoi fare la cresima, noi non abbiamo mica niente in contrario e ti arrivano anche dei regali, se non vuoi farla non la fai. Chiaro che non l'ho fatta. Non ho mai creduto in quel genere di stronzate. E alle critiche di mia nonna ("i tuoi figli devono essere sempre bastian contrari") nessuno ha mostrato il minimo imbarazzo nel difendere la MIA scelta. ("Meglio bastian contrari che pecore che seguono il gregge".)
A volte ci vuole coraggio. Io mi vestivo diversa, io uscivo con gente diversa, non andavo in discoteca quando tutte le compagne di classe ci andavano e non mi vergognavo per niente di essere secchiona. Una volta ti bastava portare gli occhiali per essere oggetto di scherno. Oggi invece gli occhiali sono diventati un accessorio alla moda. Visto? Non c'era motivo per prendersela tanto. Io li ho sempre portati senza pormi nemmeno il problema.
Nessuno mi ha mai preso in giro perché facevo a modo mio, certo sono stata criticata ("devi essere sempre diversa dagli altri") e la critica non ha fatto che rendermi ancora più orgogliosa di me stessa. Non mi sono mai nascosta per il fatto di non seguire la norma. E i professori mi adoravano perché anche se mettevo qualche borchia e la maglia degli Iron Maiden, avevo testa.

I miei genitori non mi hanno mai regalato delle cose solo perché le avevano gli altri. E raramente devo averne chieste. Non li ringrazierò mai abbastanza per avermi resa consapevole del vero valore delle cose. Per avermi fatto capire che un gioco supermoderno non dà la stessa felicità che dà giocare con la fantasia. (Senza esagerare, ovviamente: avevo molti giochi, pochissimi in confronto ad altri compagni, ma questo non mi ha mai fatto sentire INFERIORE. E sarà un insegnamento che spero di trasmettere ai miei figli, se ne avrò.) E quando ho cominciato a crescere, e a capire, mi sono sentita orgogliosa di me stessa, di non aver bisogno di OGGETTI per sentirmi bene. Se non avessi imparato questo oggi sarei una persona che non fa altro che lamentarsi di quello che non ha invece di apprezzare tutto quello che ha. A me le lamentele infondate non piacciono.

Sono orgogliosa di mia madre, che ci ha cresciuti praticamente da sola, perché mio padre lavorava sempre fuori. Mia madre è diventata tale a vent'anni, quando è nato mio fratello, e cinque anni dopo sono nata anch'io e ci ha cresciuti con la libertà che a lei era stata negata. Libertà che non significa che facevamo quello che ci pareva. Libertà che significa che se noi ci comportavamo in un certo modo, eravamo liberi in tutto il resto. E in particolare nel pensiero. Quello che ci ha insegnato a meraviglia è stato il rispetto, per le cose e per le persone. Noi potevamo uscire la sera fino a tardi (tipo le dieci e mezza) quando gli altri alle nove dovevano essere a casa. Certo, abitavamo in un paesino, i pericoli erano pochi, ma sapeva sempre dov'eravamo. Ci ha sempre dato fiducia, da subito, certo è che se questa fiducia veniva tradita una volta andava riconquistata. Sapevamo di essere fortunati e ci dispiaceva deluderla. (E sto parlando di quando eravamo ben sotto i quindici anni.)

La vita, le cose del mondo, non si possono vedere come una scatola chiusa. Essa è piuttosto come un disegno che muta continuamente la sua forma. Siamo tutti in continuo divenire, noi, le opinioni, le categorie. Le categorie devono essere aperte, ma possono esserlo solo a fronte di menti aperte.

Casa non è casa solo perché quello è l'indirizzo che c'è sulla tua carta d'identità. Casa è dove ti ci senti. Non per niente alcune lingue fanno la differenza fra i due concetti, che per esempio in inglese sono "house" e "home". House è la casa di mattoni.
Ma home è dove il tuo cuore trova riposo.

Mi rendo conto di quanto in questo post mi sia messa a esplorarmi l'ombelico per raccontare quel che vi ho letto dentro. Ma d'altra parte è un pezzo di me, questo blog, e a volte oltre a guardare fuori viene da guardarsi dentro.
Un giorno, anni fa, il mio ragazzo mi ha detto che sono la persona più anticonformista che lui conosca. Non è vero, non lo sono poi tanto, ma forse lo sono dentro. Per tante cose. E non è sempre una passeggiata.
Io ho pochi amici. Perché preferisco circondarmi di persone che mi fanno migliorare, e i rapporti superficiali, francamente, non mi interessano. Mi ci trovo proprio a disagio. Solo che a volte ci si sente soli. Ma da sola non mi sento mai a disagio quanto al cospetto di persone con le quali il massimo che riesco a condividere è un aperitivo o un caffè. Non ce la faccio proprio. Eppure a volte vorrei esserne capace, solo per vedere cosa si prova. Ed è questa la mia debolezza. Non mi piace sentirmi a disagio con gli altri, quando invece dovrei solo riconoscere che mi sento a disagio per il semplice motivo che non mi appartengono.
A un certo punto l'ho capito e ho smesso di preoccuparmene.

Commenti

bob ha detto…
l'apertura mentale e' il valore piu' importante che una famiglia possa tramandare, da esso derivano i concetti di liberta' e rispetto, sei stata fortunata (come lo sono stato anch'io). e come te non sopporto le convenzioni sociali, non solo le trovo ipocrite ma proprio non riesco a conformarmici. il fatto di vivere all'estero poi complica ulteriormente le cose, perche' la gente relaziona in maniera diversa e risponde ad altri criteri sociali, che ho dovuto imparare da zero. vero che in inglese non esiste dare del lei, ma sono molto piu' formali ed educati di noi, e molte volte sono passato per rude e maleducato per questo motivo. un'ultima cosa, a sud le vedove lo portano ancora il velo. ciao.
Miky ha detto…
avevo anch'io in testa questa immagine di donne siciliane in lutto vestite di nero e a capo coperto. Ma essendo un'immagine che credo di aver visto alla televisione e non direttamente, non ho voluto specificare.
ho parlato dell'inglese invece perché il mio punto debole è dare del lei: mi incarto sempre. va a finire che faccio un misto e mi sento in imbarazzo (vedi ieri al telefono con il commercialista di mia mamma: mi ha detto prima buongiorno, poi ciao, e io ho risposto ciao, poi ho pensato che non l'ho nemmeno mai visto in faccia... comunque è colpa sua, ha iniziato lui!)
magma ha detto…
Ciao Michela,
anch'io ho avuto la fortuna di avere trasmessa, dai miei genitori, l'apertura mentale che descrivi in questo bellissimo post... Forse il più bello di tutto il tuo blog.
Condivido tutte le cose che hai scritto.

Anch'io ho sempre visto con occhio critico le 'mode' e i 'costumi', fermandomi a riflettere sui perché delle cose.

Un caro saluto, a presto.
Daniele
Miky ha detto…
Ciao! Credo che in questo post si senta la passione che ci ho messo quando l'ho scritto... Mi è costato una notte insonne, durante la quale l'ho "scritto" mentalmente, ed è nato a causa di una profonda arrabbiatura del giorno prima. Devo dire che scriverlo mi ha fatto stare bene.

A presto!

Post popolari in questo blog

Il mondo muto di Hector Mann

Insomma, Paul Auster. Il libro delle illusioni . David Zimmer è un professore universitario che d'improvviso perde tutto ciò che ama, in un modo che naturalmente sottolinea attraverso una serie di coincidenze: se non avessi, se l'insegnante di mio figlio non avesse, se... Ma è andata come è andata. Si rinchiude nel suo dolore e nelle bottiglie di whiskey quando, un giorno, guardando a caso una scena di un film muto, ride. Allora non tutto è perduto!, pensa. Sono ancora vivo. E così cerca di scoprire qualcosa su questo attore, Hector Mann, che è riuscito a farlo ridere in un momento tanto disperato. E scopre cose molto interessanti. Tipo che dopo il 1929 è sparito e di lui non si sa nulla. Sicuro come l'oro, ormai è morto. Decide di vedere tutti i suoi film, ma per farlo è costretto a viaggiare. E il fatto di dover anche prendere l'aereo non è cosa da poco, per lui. È interessante anche il suo incontro e dialogo con il dottor Singh, per farsi prescrivere de...

Tenacia

Solo io e le papere, ieri pomeriggio, imperterrite sotto la pioggia ai laghetti. Tenace è un aggettivo che mi piacerebbe mi venisse attribuito, non so quanto appaia all'esterno, anche se penso di sembrare meno tenace di quanto sia in realtà, o di quanto sia capace d'essere. Tenace sarà la mia parola di quest'anno, come aspirazione quanto meno, perché se non riesci ad attraversare tutto sempre con leggerezza, che è ciò che mi piacerebbe fare ma forse non è il momento giusto, allora è al tener duro che voglio aspirare. Forse mi prendo una pausa dal blog, che non importa a nessuno, ma devo dirlo a me stessa perché è sempre stato un bel rifugio ma ora non lo sento più così. Mi ci sento legata ma in questo momento il legame ha anche un sapore negativo, che non sto a spiegare, e credo di avere bisogno di liberarmene per un po'. Non un addio, solo un "non lo so". Ciao

Tuffi

Cercando un'informazione di cui avevo bisogno fra i messaggi WhatsApp con mio marito, ho trovato conversazioni risalenti a una delle tante vita di prima, più precisamente quella in cui nostra figlia era molto piccola e io lavoravo solo il pomeriggio. Trascorrevamo le mattinate insieme, inforcavo la bici e la portavo al parco, tornavamo a casa e faceva un riposino mentre preparavo il pranzo, insomma, tutte quelle cose che mi sembrano lontane anni luce, ormai. È stato un momento molto tenero, con svariati piccoli tuffi al cuore al comparire di una foto di lei addormentata sul divano mentre guardava George la scimmia o di quando ancora mangiava il pesce senza lamentarsi. Durante le vacanze, un giorno eravamo in acqua a San Vito lo Capo e Ale le stava facendo fare i tuffi in acqua, a proposito di tuffi, e a un certo punto ha detto: "Godiamocela finché è ancora così, perché durerà ancora poco". Altro tuffo al cuore. Uccisa. Vacanza rovinata. Grazie tante. No, scherzo, però ci ...