Ho corso con gli Zen Circus nelle cuffie e ho ripensato a un vecchio lettore mp3 usato che mi era stato regalato un bel po' di anni fa, che aveva anche delle canzoni loro, e Occhi bassi che era la mia preferita dei Tre allegri e adesso la cantiamo con il coro. E ho pensato che alcune cose restano le stesse dentro di noi anche dopo aver fatto moltissimi giri intorno al sole, e certi ricordi acquistano quel colore tipico della nostalgia che li rende dolci e migliori di quanto non fossero.
Ho pensato che saranno passati più di quindici anni e anche se so benissimo tutte le cose che ci sono dentro quell'arco di tempo – le cose, le persone, le esperienze – qualcosa è riuscito ad attraversarli quasi indenne, come un filo lunghissimo che per qualche motivo è riuscito a infilare tutte le perline.
Un giorno hai tre anni e il giorno dopo venti, non sai bene che farai della tua vita e sei anche un po' uno stronzo arrogante.
Un giorno hai vent'anni e quello dopo ne hai il doppio e qualcosa in più, pensi a cosa hai fatto bene e a cosa rifaresti meglio, ti dici farò meglio quel che devo fare adesso e fra vent'anni forse penserai di nuovo la stessa cosa.
Mi sono innervosita parecchio in questi giorni per cose mie ma non del tutto mie e su cui perciò ho potere limitato. Ho provato a fare mio il vecchio mantra delle cose che non puoi cambiare e quelle che invece sì e quindi di che ti preoccupi, e in effetti un po' funziona.
A volte i cliché sono potenti, forse anche apotropaici, in fondo se sono così diffusi un po' di ragione ce l'avranno pure loro.
Per esempio che fa bene fare qualcosa che non hai mai fatto prima.
Che un atteggiamento positivo non risolve le cose ma aiuta.
Che ogni tanto tirare giù qualche madonna non aiuterà ma è liberatorio.
Che alla fine molto sta nel tirare fuori le risorse che hai dentro, l'entusiamo per una cosa, quella spinta lì che ti fa andare avanti.
Che a un certo punto sei tu che scegli che tipo di persona vuoi essere e in fondo, dentro di te, è vero che già lo sai.
Sparisco. Divento sempre più piccola e poi sparisco. «e io mi sento, io mi sento, io mi sento vagamente ridicolo» (va letta cantando) Mi sento piccola e ridicola e scompaio. Un buco nero, come nella canzone de i cani. Non posso contare più tutte le volte in cui è successo, perché ho permesso agli altri di farmi sentire così. Scontata. Inutile. Piccola. Non conto le volte in cui solo poi mi sono resa conto che ti mettono una mano sulla testa per schiacciarti giù in modo da sentirsi più grandi. Bravi, un applauso. Non conto certo nemmeno gli errori che ho fatto io, ma mai per rimpicciolire nessuno. Per insicurezza, senza dubbio. Per bisogno di attenzioni, sicuramente. Niente di edificante, certo, ma mai intenzionata a distruggere un altro per sentirmi migliore. E invece c'è chi lo fa, chi gioca, manipola, ti fa credere cose che non sono, ti tratta come se non importasse per sentirsi importanti, finché poi non importi davvero più. Bravi, un applauso anche a voi. Sono sparita e diventa...
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