C'era questa convinzione, diffusa a partire dagli anni Novanta, che la storia più corta mai scritta l'avesse inventata Ernest Hemingway a seguito di una scommessa. Solo sei parole:
For sale: baby shoes, never worn.
(Vendesi: scarpette da neonato, mai usate.)
Non è di Hemingway, ma è un esempio perfetto, forse il più estremo di quella che viene definita flash fiction.
Poche parole tratteggiano una situazione ma tutto sta nel non detto: perché è lì che l'immaginazione vola e compone un quadro. Per quanto simili, i quadri di ogni lettore saranno comunque differenti. Quindi sei parole, infinite possibili storie. Il potere dei silenzi, il potere del non detto (che è diverso dal silenzio), il potere delle assenze, delle mancate presenze.
Ieri era la festa del papà, l'altro ieri l'anniversario della morte del mio, di papà, e ho pensato proprio a questo, alle assenze. Perché in tutta la mia vita, la presenza di mio padre è stata soprattutto interruzione dell'assenza, quando tornava dopo i lunghi mesi di lavoro all'estero. E poi è morto ed è stato solo ricordo e assenza.
Le mie giornate sono spesso lunghi silenzi interrotti da parole per lo più scritte. E anche fra queste parole i silenzi contano, le assenze e le mancanze contano, gli spazi fra una e l'altra contano.
Silenzi, spazi, assenze, hanno anch'essi il sapore dell'infinito e se mi fermo, prendo un respiro e mi appoggio allo schienale della sedia e fisso lo sguardo per un momento in un punto preciso è perché a volte provocano le vertigini e sembra di annegare.
La mente, nella sua infinitezza, mi spaventa.
E forse, fra tante cose, è anche per questo che leggiamo e raccontiamo storie, come se riuscissimo solo così a mettere recinti all'infinito, calmare lo sguardo irrequieto, definire, definirci.
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