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Un riassunto di luglio

Ultimamente vengo qui e inizio a scrivere, poi mi perdo. Non riesco a scrivere un post che abbia un inizio, una fine, una coerenza sua, e anche se potrei tranquillamente dire chi se ne frega, alla fine non pubblico nulla. Allora ho pensato, sai cosa? Metto insieme gli incipit degli ultimi post e festa finita. E poi se un giorno tutti o anche solo uno di questi incipit avrà un seguito lo riprenderò in mano. In fondo il blog è mio e ci posso fare ciò che mi pare. Ci metto le date, così hanno un po' di senso in più.

11-7-2023
Oggi mentre pranzavo ho fatto una serie di pensieri che mi hanno portata a cercare il nome di mio papà in internet. Mio papà è morto prima che i boomer si facessero i profili social (e molto prima che i boomer si chiamassero boomer), quindi su di lui non si trova davvero nulla. Ho messo varie chiavi di ricerca, varie ditte per cui ha lavorato (era uno che girava per cantieri e ne ha cambiate molte) e nemmeno sotto l'ultima, che probabilmente all'epoca aveva sì e no un sito internet, c'è nulla. È morto molto prima di avere modo di lasciare la sua impronta digitale.
Mentre provavo mi sono resa conto che so così poco della sua vita. Della sua "altra" vita. Quella all'estero, quella di cui sentivamo i racconti concentrati in quei periodi mai troppo lunghi in cui era a casa. E che non ricordo più cosa faceva dove. Alcune cose le so bene, di altre i ricordi sono un po' confusi. Cosa faceva in Cina, nelle Filippine o in Tanzania?
Dovrei chiedere a mia madre ma un po' mi imbarazza, non so spiegare perché e poi non so se ha voglia di rivangare ricordi.
Ho provato a sforzarmi di rammentare i suoi racconti, la maggior parte delle volte erano episodi divertenti, cose assurde, personaggi strambi con cui aveva a che fare, non sempre brave persone, fra l'altro. Lui era così, a tavola raccontava barzellette, faceva scherzi, era divertente. Aveva lo stesso spirito di mia nonna.
Ci saranno da qualche parte nel mondo persone che io non conosco e che si ricordano di lui, e che si domandano che fine abbia fatto? Mi piacerebbe che qualcuno si ricordasse di quell'omone divertente e, in fondo, buono. Chissà se ci sono persone con cui potrei parlare per farmi raccontare di quella vita che non conosco e che ora mi sembra triste venga dimenticata così.
Non mi ci vedo molto nel ruolo di figlia/reporter che va alla ricerca della storia dimenticata di suo padre (soprattutto perché implica parlare con la gente) ma se avessi davvero coraggio lo farei. O meglio, mi piacerebbe essere quel tipo di persona, quella che saprebbe fare quella cosa lì.

20-7-2023
Ci sono cose che vivono solo nei ricordi, e solo lì possono continuare a esistere e basta che io sparisca – una cosa che per alcuni sarebbe enorme, ma che può succedere comunque nel tempo di un battito di ciglia – e sparirebbero con me.
Ci sono ricordi che sono condivisi e possono a volte sembrare vivere di vita propria, diventare racconti eppure non guadagnano in concretezza e potrebbero sfumare.
Le parole possono fissarli, ed è per questo che a volte scrivo, a volte non posso perché è tutto troppo, ma a volte scrivo come se volessi farli vivere.
Sto leggendo Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, e mi piace molto innanzi tutto perché si parla di linguaggio, e io sono pur sempre una linguista mancata che si esalta per questo genere di cose, e poi perché risveglia a suo modo molti ricordi di famiglia. Ecco un pezzo che mi è piaciuto moltissimo (il grassetto è mio):

Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: «Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna» o «De cosa spussa l'acido solfidrico», per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio d'una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d'un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra, quando uno di noi dirà – Egregio signor Lippmann, – e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: – Finitela con questa storia! l'ho già sentita tante di quelle volte!

25-7-2023
Mentre saltavo le onde del mare, domenica pomeriggio, e mia figlia rideva felice e il sole ci baciava la pelle e il vento ci rinfrescava, ho ripensato a quello che ho scritto a inizio gennaio, quella cosa di saltare le onde esprimendo desideri. Non era scoccata la mezzanotte del primo gennaio (anche perché immagino il freddo, non essendo io in Brasile) e non ho espresso consciamente dei desideri, ma ci ho pensato e credo di aver, in quel momento, con l'acqua salata sulla pelle, con la brezza, il sole, gli occhi "che ti diventano di un verde incredibile", come dice sempre Ale quando siamo al mare, credo di aver desiderato un po' di pace nell'animo. E di aver sperato che desiderarlo in quel preciso istante, un istante felice, potesse in qualche modo fare la differenza.

Non ho molto altro da aggiungere, perché non ho voglia di ripetere cose che ho già detto e perché ho visto che descrivere la sensazione di morsa allo stomaco che sento comunque non aiuta in nessun modo ad allentarla e perché so di essere in parte, forse in gran parte, causa del mio male.
Quindi dovrei poter essere anche in parte, forse in gran parte, artefice della mia guarigione, giusto?




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