Non sono solita parlare di premi Nobel, ma quest'anno per la letteratura l'ha vinto Annie Ernaux, una volta tanto quindi un'autrice di cui conosco alcune opere, di cui vorrei leggere tutto perché mi ha fatta innamorare con una cosa: l'essenzialità. Anzi no, mi ha fatta innamorare con una frase specifica.
La sua scrittura è asciutta e non fa sconti e quando da qualche parte ho letto che «apre le ferite a ogni riflessione» ho pensato "ecco, esatto": apre le ferite, con precisione e determinazione.
In questo periodo in cui la mia testa è piena di pensieri e di parole che fanno una gran confusione, ho voglia di condividere la frase con cui mi sono innamorata della Ernaux. La contestualizzo un po' con ciò che la precede, e vi sottolineo la frase in questione. Il brano è tratto da Una donna, qui sta parlando di sua nonna:
«Teneva bene la casa, il che vuol dire che spendendo il minimo indispensabile riusciva a nutrire e vestire la famiglia, a mandare a messa i bambini senza buchi né macchie, e così facendo avvicinarsi a una dignità che permettesse di vivere senza sentirsi dei bifolchi. Rigirava i colletti e i polsini delle camicie perché durassero il doppio. Conservava tutto, la pelle del latte e il pane raffermo per farne dei dolci, la cenere della legna per il bucato, il calore della stufa spenta per seccare le prugne o asciugare gli stracci, l'acqua delle abluzioni del mattino per lavarsi le mani durante la giornata. Conosceva tutti i gesti che addomesticano la miseria. Questo sapere, trasmesso per secoli di madre in figlia, si ferma a me, che ne sono ormai soltanto l'archivista.»
Tutti i gesti che addomesticano la miseria: la trovo così evocativa che non voglio proprio aggiungere altro.
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