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Ho letto: La parete, di Marlen Haushofer

 

Ogni tanto capita di vedere delle foto o dei video degli anni Novanta scorrendo l'internet, e mi sale proprio la nostalgia (e niente, anche l'anzianità), e mi rendo conto davvero del tempo che passa. Mi paragono a mia madre quando aveva una figlia dell'età di mia figlia, e penso a mia madre adesso e a ciò che diventerò (si spera) alla sua età. Così, non so, una volta queste cose neanche mi passavano per la testa. Perciò cerco di tenere a freno questi pensieri per vivermi il presente, presente che un giorno guarderò con altrettanta nostalgia (pandemia a parte).

E a proposito di tenere a bada i pensieri, ho finito di leggere La parete di Marlen Hausofer e mi è piaciuto tremendamente. E tremendamente è l'avverbio giusto, perché la storia ha del tremendo.

Attenzione, questo romanzo è del 1963, quindi qualsiasi affinità con cose scritte dopo (per esempio Under the Dome) non c'entra. O meglio, se c'entra, è King ad aver preso spunto (non so se l'ha fatto, può essere. Comunque sono due cose diverse).

Una donna, vedova, due figlie ormai grandi, d'improvviso si ritrova isolata in uno chalet di montagna, appartenente alla cugina e al marito della cugina, e non solo isolata ma, apparentemente, proprio sola al mondo. Non per sua scelta, ma perché durante la notte è calata una parete invisibile che lei non può oltrepassare. Al di là della parete, tutti gli esseri viventi giacciono come pietrificati, morti. Al di qua della parete, solo lei (almeno, per quanto ne sa) e il cane della cugina, Lince. Presto troverà una mucca, una gatta, e poi nasceranno dei gattini, un vitello e insomma, la vita procederà. Il romanzo è una cronaca della sopravviveva di questa donna, la sua vita quotidiana di esplorazione, coltivazione di patate, adattamento rassegnato alla nuova condizione, al suo nuovo nido. Non leggiamo grossi patemi per ciò che ha perso, perché non si concede di pensarci troppo per non lasciarsi andare alla disperazione. In fondo, a che servirebbe? Per un po' si chiede se ci sono altri sopravvissuti o se è l'unica, si domanda quale sia la natura di quella parete, poi smette di farlo. Anche questo, in fondo, a che serve? A volte viene da pensare, perché non si suicida, per esempio? La vita che si è ricostruita, alla quale si è adattata, non può dirsi felice, né semplice, quindi perché non la fa finita quando è stremata, depressa e solo per amor di Lince si alza dal letto? Ecco perché: per amore. Per amore di quegli animali che dipendono da lei, che non sopporta di poter lasciare soli a sopravviverle, incapaci di procurarsi il cibo da soli. Sotto i nostri occhi avviene la trasformazione di questa donna, che nonostante tutto il suo arrabattarsi e affaccendarsi come un essere umano, si avvicina sempre più a essere qualcos'altro, qualcosa con molte meno sovrastrutture, molto più simile agli animali che accudisce. Lo vediamo da come cambia il suo atteggiamento nei confronti della parete: all'inizio guarda oltre, cerca di capire, di studiare il suo percorso, fin dove arriva, poi man mano che il tempo passa fa come fa Lince: non guarda più oltre quella parete, quella vetrina dietro cui si vede solo la fine di ciò che era, anzi, smette pian piano di pensare alla parete e si concentra sul qui e ora, sulla sua parte di mondo. Proprio come Lince fa quasi da subito, si volta dall'altra parte. Intuiamo nella cronaca che redige un'inquietudine e una paura che solo alla fine troveranno spiegazione, perché nonostante le fatiche, le incertezze e la solitudine, il nuovo equilibrio ci pare funzionare. E quindi, ci chiediamo, perché adesso scrive gli avvenimenti degli ultimi due anni? Cosa è successo, cos'è stato a indurla a scrivere questa cronaca? Perché a un certo punto qualcosa irrompe, qualcosa rompe l'equilibrio, lo sappiamo perché lei stessa ne dissemina gli indizi (terribili) e perché altrimenti non si sarebbe messa a scriverne. Ovviamente non posso anticiparvelo, se no spoiler ;)

Consigliato? Se vi piace il genere, sì. Non annoia, anche se può sembrare monotono, e comunque la curiosità di vedere dove si va a finire è sempre tanta. La scrittura è limpida, piacevole, riflessiva e che fa riflettere. L'ambientazione a volte è crudele e a volte è strabiliante, bella e amica. Proprio com'è la natura.



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