Ieri ho avuto una giornata un po' storta, per nessun motivo particolare o fattore scatenante che riuscissi a riconoscere bene. La passeggiata con il cane mi ha aiutata a schiarirmi le idee e forse avevo solo bisogno di staccare.
Ho pensato a diverse cose che non mi andavano bene: be', mi sono resa conto che parte del malessere è anche dovuto alla situazione che stiamo vivendo, alla mancanza di libertà di spostarsi come, quando, dove si vuole, come se ogni movimento, ogni passo che compiamo fosse diventato improvvisamente pesantissimo: ho preso la mascherina? Ho preso l'autodichiarazione? Sono davvero giustificata a uscire? Se incontro una persona che conosco, riesco a mantenere la distanza giusta? E se sono con mia figlia e incrocio altri bambini e lei vuole giocare, cosa faccio? E se mi scontro con una persona che ha un cane, quanto li faccio socializzare i bestioli, stando a distanza?
Insomma, il contrario della famosa leggerezza di Calvino, di quella leggerezza che ci serve – che MI serve – per muovermi nel mio mondo.
Avevo bisogno di un modo per levare l'ancora.
Ho cercato di escludere le cose su cui non ho alcun potere, per evitare perdite di tempo.
Ho cercato di togliere le cose che mi distraggono troppo e senza alcun piacere.
Ho cercato di sorridere lo stesso anche se non me lo sentivo dentro, di essere più gentile anche quando non ne avevo voglia e anche quando non mi vedeva nessuno. Ho cercato di essere presente, raddrizzare le spalle e rilassarle.
Dall'inizio del lockdown ho letto poco. Fatico a concentrarmi se la trama è lunga, piena di luoghi e personaggi. Così ho deciso che riprenderò in mano quel libro in un altro momento e ho iniziato a leggere I baffi di Carrère. Sono a metà, è un libro corto, anzi direi un racconto lungo, e mi ha completamente presa. È un po' angosciante, è vero, ma ci ho trovato Kafka dentro, ci ho trovato Pirandello, e quando un libro fa una cosa così, ti stacca completamente da terra, allora tutto rientra nei parametri giusti, all'improvviso. Perché è un'esperienza che riesce a sgombrare le nuvole, almeno per un po'. Non è che il libro mi stia dando illuminanti risposte sul nostro tempo, non c'entra questo.
C'entra che ho capito, che mi ha ricordato com'è fare una cosa piacevole, fare una cosa che mi piace sul serio. Invece di divagare, invece di andare a remare nelle paludi per quella morbosa curiosità di navigare un po' in mezzo alla merda.
Oggi è venerdì, ho dormito poco perché il cane mi ha svegliata perché la pioggia forte l'ha spaventato e poi come al solito non riuscivo più a prendere sonno. Comunque sia, oggi la stanchezza non mi ha appesantita, non mi ha distratta troppo. Ho finito i lavori che dovevo consegnare, mi godo qualche incontro del Salone del Libro di Torino online, mi dedico a quello che mi piace davvero: conoscere, curiosare, leggere (tanto) per sapere di più, per esplorare emozioni nuove, per allargare orizzonti.
Così mi sono resa conto che ne avevo abbastanza: delle opinioni becere su Silvia Romano, del complottismo, della comunicazione ostile, dell'autocompiacimento, della falsità, delle facciate, dei sorrisi finti, del nervosismo dilagante.
Ho voglia di umiltà, di curiosità, di meraviglia, e sì, di leggerezza. Di uno sguardo positivo che possa andare oltre, di migliorare me per stare meglio e far stare meglio.
O forse era solo sindrome premestruale.
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