C'è stato un momento, nella mia vita, in cui temevo di sedermi a tavola con i miei, perché non volevo sentirmi porre la domanda: "Allora, quando ti laurei?". Gli esami li avevo finiti, mancava solo la tesi. Non so perché sono finita a impelagarmi con un autore austriaco pesantissimo, che non mi dava nessuna soddisfazione. Mentre la tesi della triennale l'avevo scelta partendo da una cosa che mi era piaciuta, collegandola a un'altra che mi piaceva tanto, con una professoressa che adoravo, questa me l'ero fatta dare dal prof e basta. Avevo sperato potesse diventare interessante, e invece per niente.
Così mi sono bloccata. Nel frattempo lavoravo, che a volte è deleterio, soprattutto se trovi un lavoro che ti piace tanto e dici: va be', è qui che voglio stare, ormai la laurea a che mi serve? Eppure per un senso di compiutezza non potevo certo lasciarlo lì, questo biennio ormai finito. Con tutta la fatica, gli esami fatti bene, lo studio la sera dopo il lavoro... insomma, sarebbe stato assurdo.
Ma non sapevo da dove cominciare. La cosa migliore sarebbe stata andare dal prof e dirgli: No, niente mi sono sbagliata, questa cosa non fa per me, cambiamo direzione. Ma mi pareva tardi.
E così, per un po' di mesi è rimasto tutto fermo. Mi sentivo di schifo perché mi ero ripromessa che al primo anno fuori corso mi sarei pagata le tasse da sola. Sì l'ho fatto, con quel poco che avevo guadagnato.
E intanto i miei probabilmente si chiedevano "ma 'sta tesi", e ogni volta mi domandavo quando me l'avrebbero fatta sul serio, quella domanda. Forse non volevano mettermi pressione, e alla fine non mi hanno chiesto nulla. In fondo un po' lavoravo, anche se non a tempo pieno, e quindi non stavo proprio tutto il giorno a casa a grattarmi.
Ma quella domanda sembrava aleggiare nella casa, continuamente, e anche se inespressa riusciva a opprimermi in modo indicibile. Ho pensato di andarmene perché mi vergognavo. Ho pensato anche di peggio perché mi vergognavo, io che ho sempre preteso così tanto da me stessa. Se non l'ho fatto, è stato solo perché non ne ho avuto l'occasione.
In quel periodo non avevo un sostegno. Perché se i miei familiari non mi chiedevano nulla, non mi spingevano e non mi stressavano, è anche vero che non mi chiedevano mai se c'era qualche problema, qualcosa che non andava. Era per me un periodo di grande solitudine, in cui non avevo nessuno che riuscisse a scuotermi o a spronarmi o anche soltanto a farmi vedere sotto una luce più giusta un problema non poi così grave, anzi, sicuramente risolvibile.
E così, mi sono messa a fare un corso, esterno all'università, per far vedere che comunque mi stavo dando da fare per migliorare un po' le mie conoscenze. E poi, finalmente, ho preso coraggio e sono andata dal professore in questione, e anche se non ho avuto l'arditezza di cambiare l'argomento della tesi, gli ho chiesto di darmi qualche dritta per cominciare sul serio, che adesso ero pronta. E alla fine nel giro di qualche mese ho finito tutto. Non ho finito in bellezza (oh, non per il voto, il 110 e lode l'ho preso comunque), non ho finito in bellezza perché è stata solo una liberazione, non una soddisfazione. È andata, l'ho fatto perché mi sono impegnata ma non mi ha lasciato nulla. Forse solo la consapevolezza che si possono superare anche gli ostacoli difficili, anche quelli che non ti danno soddisfazione durante il percorso. Che è comunque un ottimo insegnamento, dal punto di vista della vita.
Quello che voglio dire è che nessuno, quasi nessuno, sa quel che ho passato in quel periodo. E non lo può capire certo una persona che non mi conosce e legge queste poche righe. Quello che voglio dire è che sono stufa di sentire giudicare Carlo Nuzzi, il ragazzo che è scappato per, a quel che ho capito, problemi legati all'università, che è andato a Barcellona e adesso ha richiamato casa perché vuole tornare. Sono stanca di sentire i giudizi della gente. Non siete nessuno, non eravate lì, non potete sapere. Magari il ragazzo non ha tutta questa gran pena, magari è uno stronzo egoista e basta. O magari è scappato preso dall'ansia e alla fine s'è ritrovato senza soldi e con la voglia di tornare indietro, nel tempo se avesse potuto, a casa nella realtà. Come se non si vergognasse già abbastanza di aver avuto una debolezza. Ripeto, magari avete ragione, è solo un egoista, ma non sta a nessuno NESSUNO di noi presumere che sia così. Io ci sono passata per il buio delle aspettative – proprie e altrui – disattese, e a volte ho rischiato il black out pure io. Quindi basta, basta, basta, ricordiamoci che dietro ogni persona c'è un mondo di battaglie che nessun altro sa. Adesso basta.
Commenti
Certo poi ci sono gli stronzi, gli inetti e i bastardi. Ma non sappiamo comunque le loro storie. Non sappiamo nulla spesso neanche di noi. Figuriamoci degli altri...
hai proprio ragione. Anche a me è capitato spesso di fermarmi a leggere storie di universitari che fingevano di dare esami, poi arrivati al clou sparivano o addirittura si toglievano la vita. Erano storie che mi colpivano.
Anche da me tutti si aspettavano cose meravigliose, visto il mio curriculum scolastico, invece ho sempre galleggiato senza troppi sussulti, sia negli studi universitari, sia nel lavoro. Nel contempo altri invece facevano un percorso brillantissimo, hanno avviato importanti carriere lavorative e messo famiglie o messo base per fare famiglia :D.
Mi dispiace che, in altro blog, ho scaricato sul mondo le mie responsabilità. Però curioso che nel tuo precedente post si parlava appunto di domande e risposte che si generavano delle letture. Ebbene, nel leggere il tuo post ho avuto un'ottima risposta :)