Ho talmente tante cose da dire che in pratica partorisco post mentre pulisco la cucina la sera, o quando sono in altre faccende affaccendata. E in bozze ne ho già almeno due, che però sto aspettando di terminare bene e di pubblicare in momenti in cui non ho altro di urgente da dire.
Sono passati alcuni giorni dalla sera del 13 novembre, abbiamo letto, sentito, forse anche detto di tutto e di più, troppo probabilmente, in modo confuso quasi sicuramente.
Sorrido molto, e amaramente, quando leggo quelli che sanno come risolvere il problema, e rido perché mi dico, se bastasse poco sarebbe già tutto risolto da un pezzo. Ma il mio esame di Storia delle relazioni internazionali, dal quale sono ormai passati dieci anni, lo ricordo perché pensavo che studiando quella materia ci avrei capito qualcosa di più. Certo, ci ho capito di più, e ho capito anche che è tutto così complicato – esasperato – che ne sono uscita più confusa di prima. Quanto meno, però, un po' più consapevole.
Resta che venerdì sera la prima cosa alla quale ho pensato – la prima persona – è la mia migliore amica che a Parigi fa un post dottorato, poi all'ex compagna di università che da settembre è lì per lavoro e le due amiche, anche loro ex compagne d'uni, che proprio quel fine settimana sono andate a trovarla. Stanno bene tutte, a quanto pare avevano tutte deciso per una serata casalinga.
Poi ho pensato a noi che stavamo cercando di organizzare un fine settimana a Parigi per andare a trovare la mia amica, e penso e ora, lo faremo? Da quando aspetto un bambino non mi fido nemmeno a stare in un locale troppo affollato senza vie di fuga sicure – se viene un terremoto, scoppia un incendio, l'invasione delle cavallette? – quindi mi viene da titubare. Poi se non ci vado probabilmente i motivi saranno altri, perché è già comunque difficile organizzare per via degli impegni di entrambi, ma insomma... non mi piace precludermelo e fare il loro gioco.
Un evento di questa portata ti sconvolge, è normale, ed è inutile dire: Ma per Beirut l'altro giorno non avete fatto questo casino. Sì, perché siamo egoisti, perché Beirut non è Parigi, a Parigi prendi e ci vai, sono i cugini francesi, confinano con l'Italia, li conosciamo bene, conosciamo bene quel mondo. Mentre l'altro mondo lo conosciamo poco, e ci sembra abbastanza lontano da poter chiudere gli occhi.
Poi anche Parigi è abbastanza lontana da poter dire "Però qui almeno mi sento più al sicuro". Perché almeno qui conosco, come se conoscere bastasse a salvarti. È ovvio che come per Beirut e tutto il resto del mondo, e come anche per Parigi, sono discorsi che non hanno alcun senso. Conosciamo poco realtà lontane, ma ormai cos'è che è davvero lontano? Possiamo andare dappertutto e ricevere persone da ogni angolo del mondo, il mondo non è mai stato così piccolo. Ma abbiamo studiato geografia dalle cartine, e se adesso ci chiedessero di disegnare la mappa del mondo sapremmo tracciare con precisione i Paesi che ci stanno attorno, poi man mano che ci allontaniamo inizia la confusione. Quanti di noi saprebbero collocare in modo esatto anche solo Ungheria e Bulgaria, che così lontane non sono? (Lo so bene, perché a Geografia sociale, all'università, ci abbiamo provato. Divertente la differenza dei disegni dell'Europa da parte degli italiani e quella degli studenti Erasmus provenienti dall'Est Europa: anche le dimensioni dei Paesi erano molto diverse!).
No, non ho messo la bandiera francese sul mio profilo, ma è ovvio che sono solidale con i francesi, con le vittime, con chi ha perso qualcuno. Ma sono solidale con tutti gli esseri umani di questo mondo che sono vittime di qualunque atto di prepotenza, anche con quelli di cui non so nulla perché dai giornali non arriva nulla. Se pregassi non pregherei per Parigi ma per l'umanità intera.
Cosa posso fare io di più di questo? Non lo so, non credo molto, se non cercare di insegnare ai miei figli un modo diverso di vedere la vita e di vedere gli altri, di imparare a capire chi è diverso da te, perché si comporta in un certo modo (non sto parlando di far capire perché un pazzo kamikaze si comporta in un certo modo, ma anche solo il vicino, il compagno di classe meno fortunato o meno integrato, qualunque sia il motivo).
Quindi cercare di agire sempre per il bene, ricordare, anche nei momenti difficili, quali sono le gioie importanti, quali sono le piccole cose e i piccoli gesti che ci rendono esseri umani. Io, davvero, più di questo non saprei che fare.
Commenti
Non mi piace questo indignarsi ipocrita o comunque ignorante. Io non mi indigno, per dire. E onestamente non ho nemmeno paura. Continuerò a viaggiare come ho fatto dopo l'11 settembre, che ho vissuto proprio là. Non è cinismo, è solo una presa d'atto di ciò che sta accadendo. Va fatto qualcosa, è ovvio. Ma io mica so cosa. A Parigi continuerò a non andarci senza troppi rimpianti (sai, no, quelle antipatie sceme a pelle) ma rimpiangerò il non essere mai stata in Siria o Israele perché quelli sì mi attirano. Vedi? Si tratta sempre e solo di egoismo.
http://dirtmagazinexxx.com/il-bataclan-e-loccidente-lislam-non-e-il-terrorismo/
Ribadisce, fra le altre cose, alcuni concetti che hai qui esposto, come il fatto che meno conosciamo quel Paese/popolo, meno ci interessa. E che abbiamo fatto prendere troppa aria alle nostre bocche in questo periodo.