Sono tre giorni che cerco di scrivere qualcosa, e non è la mancanza di cose da dire, ma l'eccesso ad avermi sempre bloccata. Ricordate l'effetto imbuto? Proprio quello.
Sarà che ci sono troppe cose tutte insieme in questo periodo, sarà la primavera, sarà che non stavo tanto bene... ma seppur sentissi il bisogno di esprimere tutto finivo per non riuscire a esprimere proprio nulla.
È più semplice andare con ordine o fare a caso? Non lo so, oggi decido di fare a caso.
Ieri è morta una ragazza giovanissima, io non la conoscevo ma mi era capitato di leggere la sua storia tempo fa per via di amici miei su Facebook che invece la conoscevano, seppur non bene, credo. Insomma, una ragazza con un sorriso bellissimo che per due volte ha dovuto affrontare il cancro e alla fine non ce l'ha fatta. Da quello che ho letto, una forza d'animo incredibile, una vera guerriera.
Notizie come questa ti lasciano addolorata e perplessa anche se non conosci di persona chi ne è protagonista. E ti danno una nuova luce con la quale illuminare una via che comunque è ignota per tutti.
Domenica sera mi sono sentita un po' male, avevo un'infezione, nulla di che, antibiotici e via, ma sono KO da qualche giorno, oggi però finalmente sto molto meglio e riesco di nuovo a ragionare come si deve. Però quando arrivano queste battute d'arresto (lunedì ho passato il giorno distesa sul divano, con la febbre, senza leggere, senza accendere la tv, senza fare niente di niente tranne pensare e dormicchiare) mi metto a pensare a tante cose.
E ho voglia di scriverle, queste cose, anche se non sono sicura di avere voglia che qualcuno le legga, e forse alla fine è solo questo il motivo per cui non riuscivo a mettere giù questo post.
Non ho voglia di essere deprimente, perché in genere questo blog non lo è, non è sempre tutto da ridere ma cerco anche di evitare i drammi.
Però stavo riflettendo su alcune cose, su un libro che voglio leggere e un film che voglio vedere e su come questi potrebbero forse essere uno spunto per pensare a quell'anno orribile che ha trascorso mio padre fra ospedale e casa e di nuovo ospedale. Perché ci ripenso spesso? Fondamentalmente perché mi sento in colpa. Vorrei poterlo riscrivere, quell'anno, per potergli dare un senso, un senso che non riesco ancora bene a capire.
Lo so che il senso di colpa per non avere fatto meglio e di più è normale in situazioni come questa, ma è anche vero che l'esperienza di ognuno è unica e irripetibile e di certo la mia era strana parecchio. Strana per il tipo di famiglia che eravamo – che siamo – strana per le assenze e le scarse presenze, strana per i rancori e le cose non dette, ma anche per quelle dette, per i rapporti difficili che non si sapeva come sbloccare. Strana per un modo strano di stare male, perché forse peggio di sapere di avere una malattia incurabile è non sapere, fino alla fine, di che cosa si muore. E non saperlo bene nemmeno dopo. Mi sentivo come in una specie di film grottesco, che grottesco rischiava d'essere fino all'ultimo, al giorno del funerale, come se ci trovassimo dentro una storia di Kafka.
Una me sorridente innamorata della Scozia. |
Ancora più strano è che poi a un certo punto tutto finisce, che il percorso sia lungo o sia breve, che si lotti o non si lotti, in un modo o nell'altro tutto finisce. Allora resta solo quello che hai imparato di te e degli altri che ti stanno attorno, e che ti ha cambiato e ha cambiato il modo in cui affronterai tutto il resto in futuro. E questo può essere positivo o negativo, bisogna fare in modo che sia positivo, però, per non perdersi. Alla fine devi imparare che afferrare tutto quello che di bello ti si presenta, aggrapparti a ogni raggio di sole che si posa sulle tue lacrime, svegliarti e lasciare il tuo sorriso ovunque è probabilmente il modo migliore per vivere.
Al funerale di mio papà sorridevo a tutti e ringraziavo tutti. Poi ho detto ad Ale: cos'avranno pensato a vedermi sorridere al funerale di mio papà? E lui ha detto: che sei fatta così, ed è bello.
Commenti
Mi trovo in tante cose che racconti. Ho smesso di essere figlia e i ruoli si sono invertiti. Chi era il mio riferimento e chi si prendeva cura di me ora è lì in un letto e sono io a dovermi prendere cura di lui. Fa paura guardare a un futuro che non sarà più come prima (ché l'ictus debilita e cambia inesorabilmente la testa), a un futuro che anche mia mamma si sarebbe immaginata diversamente. E mi sento in colpa. A ogni respiro. A ogni passo.
Passerà. Ci assesteremo. Ci sarà una nuova vita con un lui nuovo, ma sempre lui. Spero che ne saremo capaci.
A volte ne sono sicura. Altre mi spavento.
Scusa il pippone. E grazie per ciò che hais critto.
d'altra parte non saremo mai quello che eravamo ieri e quello che saremo domani chi lo sa. quando succedono queste cose, questi punti di svolta sembrano – e sono – un abisso, poi un po' alla volta si ridimensionano. e anche noi ci ridimensioniamo.
tanti in bocca al lupo per il tuo papà!