Nella mia testa mi sono sempre inventata tantissime cose. Quand’ero piccola – ma anche quand’ero un po’ più grande – ogni sera prima di addormentarmi diventavo qualcun altro; oppure ero sempre me stessa, ma in un altro luogo, in un altro tempo. Ero la protagonista delle favole che mi raccontavo, che vivevo da sotto le lenzuola, che mi accompagnavano dentro al sonno, a causa del quale, era inevitabile, si interrompevano (o forse proseguivano in sogni che poi non ricordavo mai), e che poi terminavano in qualche modo solo al mattino. Per questo ancora oggi la mattina fatico a uscire dal letto: mi sono abituata ad avere un sogno da sveglia da finire.
Erano storielle semplici, stupide, ispirate a quello che avevo letto o quel che avevo visto in tv, ma erano storie. Nella mia testa ho vissuto ovunque, anche in auto insieme a Bo e Luke o nel mondo meraviglioso di Alice.
È sempre stato come avere un prolungamento della mia vita. Ho immaginato cose che mi sono successe davvero, ma che ero troppo piccola per ricordare. Per esempio, ho immaginato come fosse vivere in Iraq, dove i miei genitori mi hanno portata, da piccola, perché mio papà lavorava lì. E così ho immaginato cosa volesse dire abitare a Mosul, attraversare le strade di Baghdad, in un periodo, oltretutto, in cui il Paese era in guerra con l'Iran (1984), gli stranieri che chiedevano a mia madre come si chiamasse quella bambina che non poteva passare inosservata, con gli occhioni e la pelle chiari. E come storpiassero il mio nome, pronunciandolo "Michelle" o "Micela". Nella realtà non ho alcun ricordo di quel periodo, perché avevo solo pochi mesi, e invidio moltissimo il fatto che invece mio fratello, più vecchio di me di cinque anni, rammenti di aver trascorso quel periodo in quel luogo, dove frequentava l'asilo (per gli europei figli di chi lavorava lì), i bambini tedeschi con cui aveva fatto amicizia, e altre cose il cui ricordo a me invece è precluso.
Ma in questa specie di follia inventiva, ho immaginato anche cose che non sono mai successe, cose che non sarebbero mai potute succedere, cose che avrei voluto che succedessero, e che a volte si sono persino avverate. Sogni a occhi aperti, desideri in forma di racconto.
E a dire la verità, questa attività onirica da sveglia non si è mai conclusa del tutto: la bambina che ero, che inventava storie o inventava i giochi (com'è tipico dell'infanzia) e situazioni in cui poteva interpretare un ruolo diverso da sé, be', quella bambina c'è ancora, e non è nemmeno tanto nascosta, in fin dei conti. È solo mascherata da persona razionale che deve vivere come tutti, tutti i giorni, ma che deve poter sfogare fantasia intessendo una specie di tela che poi ogni sera, come Penelope, disfa. E il giorno dopo, ricomincia.
Erano storielle semplici, stupide, ispirate a quello che avevo letto o quel che avevo visto in tv, ma erano storie. Nella mia testa ho vissuto ovunque, anche in auto insieme a Bo e Luke o nel mondo meraviglioso di Alice.
È sempre stato come avere un prolungamento della mia vita. Ho immaginato cose che mi sono successe davvero, ma che ero troppo piccola per ricordare. Per esempio, ho immaginato come fosse vivere in Iraq, dove i miei genitori mi hanno portata, da piccola, perché mio papà lavorava lì. E così ho immaginato cosa volesse dire abitare a Mosul, attraversare le strade di Baghdad, in un periodo, oltretutto, in cui il Paese era in guerra con l'Iran (1984), gli stranieri che chiedevano a mia madre come si chiamasse quella bambina che non poteva passare inosservata, con gli occhioni e la pelle chiari. E come storpiassero il mio nome, pronunciandolo "Michelle" o "Micela". Nella realtà non ho alcun ricordo di quel periodo, perché avevo solo pochi mesi, e invidio moltissimo il fatto che invece mio fratello, più vecchio di me di cinque anni, rammenti di aver trascorso quel periodo in quel luogo, dove frequentava l'asilo (per gli europei figli di chi lavorava lì), i bambini tedeschi con cui aveva fatto amicizia, e altre cose il cui ricordo a me invece è precluso.
Ma in questa specie di follia inventiva, ho immaginato anche cose che non sono mai successe, cose che non sarebbero mai potute succedere, cose che avrei voluto che succedessero, e che a volte si sono persino avverate. Sogni a occhi aperti, desideri in forma di racconto.
E a dire la verità, questa attività onirica da sveglia non si è mai conclusa del tutto: la bambina che ero, che inventava storie o inventava i giochi (com'è tipico dell'infanzia) e situazioni in cui poteva interpretare un ruolo diverso da sé, be', quella bambina c'è ancora, e non è nemmeno tanto nascosta, in fin dei conti. È solo mascherata da persona razionale che deve vivere come tutti, tutti i giorni, ma che deve poter sfogare fantasia intessendo una specie di tela che poi ogni sera, come Penelope, disfa. E il giorno dopo, ricomincia.
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