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Rallentando

Puf!
Ricompaio. Non sono sparita, sono solo stata presa dal vortice delle novità regional-nazional-internazional-planetarie, e come tutti seguo questa vicenda del coronavirus, con una certa tranquillità a dire il vero, salvo naturalmente fare maggiore attenzione alle norme igieniche e tutta quella roba lì.
Sono contenta se la gente si lava di più, io che sono una da "doccia almeno una volta al giorno" (era una delle cose più difficili per me quando avevo la bimba piccolissima e capitava di essere sola: quando cazzo mi faccio la doccia? Non so stare senza. E lei nel passeggino stava buona solo qualche minuto...). Finalmente le persone si lavano bene le mani? Ah, be', era anche ora! In compenso, per quanto io dica alla mia piccola di starnutire o tossirsi sul gomito (l'ha imparato anche da Daniel Tiger, eh, non è che ci fosse bisogno del Ministero della Salute) lei continua a starnutirmi e tossirmi in faccia. Saliva a profusione. Ma almeno è mia figlia (e poi ci laviamo).
Scherzi a parte, il resto per me è cambiato poco: sono sommersa dal lavoro, lavorando da casa non è cambiato assolutamente nulla, e usufruisco dei nonni come prima dell'inizio dell'asilo. Loro sono contenti, figurati. Non mi dispero a ogni nuova direttiva, perché mi rendo ben conto che si sta cercando di fare la cosa migliore (o forse sono un'illusa, non so...). Comunque so bene di essere fortunata, infatti il succo è questo: non ho motivo di aggiungere al dibattito lamentazioni e parlare come se fossi una virologa o altra competente in materia.
Perché io, come la maggior parte di tutti noi, non ho la verità in tasca, né la soluzione migliore, né la capacità di prevedere quali misure siano le più giuste. E non è che sia tutto rose e fiori. Mio marito ha un lavoro che lo porta in giro per aziende a vedere clienti e stringere mani, ha fatto una fiera a inizio febbraio in cui è passata un sacco di gente e adesso le fiere vengono rinviate, alcune aziende tengono chiuso, alcuni clienti gli chiedono di indossare la mascherina (really!), altri non aprono. Insomma, non è facile e non è che non faccia un po' paura, se ci pensi davvero bene, ma val la pena razionalizzare un po'. 
Se poi c'è qualcuno che rallentando ha scoperto che si vive lo stesso, allora qualche effetto positivo c'è (c'è sempre, in tutte le crisi). E se qualcuno ha pure scoperto che esistono lo smart working e magari l'e-learning, permettendo uno svecchiamento di vecchi modi di fare e di lavorare, ecco un altro effetto che sarebbe carino non dimenticare a emergenza superata. So bene come si ragiona nel produttivo Nordest. Pro e contro. 
Mi pare poi che la corsa a fare qualunque cosa (e poi mostrarla ben bene sui social, ché altrimenti è come se non l'avessi fatta) stia diventando più importante dell'esperienza in sé, e io negli ultimi tempi ho cercato di rallentare prima che arrivasse questa storia del virus. Insomma, godersi le piccole cose e tutte quelle storie là, scontate ma alla fine abbastanza vere.
In più, sono davvero riuscita a togliermi dalla testa alcune cose che mi stavano sovraccaricando e a disintossicarmi da alcune "dipendenze".
E ho letto e comprato libri, cosa che mi rende sempre felice. La prossima volta spero di fare un post su questo, che è l'argomento che di solito mi piace di più.
Mi sa che è arrivata proprio l'ora di leggere Realismo capitalista di Mark Fisher, che ho da un po'. Ci pensavo stamattina, poco prima della sveglia. Perciò vi lascio con la frase più appropriata: «È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo».

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