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Panta rei

Di solito sotto Natale sono felice, sprizzo ottimismo, sono contenta della pausa e di stare insieme alle persone che amo, gioisco della meraviglia negli occhi dei bambini e anche degli adulti che ricevono regali più o meno inaspettati, veder scartare qualcosa e sentirsi un po' bambini a trovare un regalo sotto l'albero.
Quest'anno tutte queste cose ci sono, ma un pochino sporcate. Come quando la neve ti sembra candida e soffice e meravigliosa, ma poi ti avvicini e non è così candida perché non lo è l'aria che attraversa, è più dura di quanto sembri e non è poi così meravigliosa.
Non sono triste, un po' lo sono, ma al momento non c'è motivo di esserlo tanto. Ma mi intristisce la mancanza di spensieratezza. Non mi addentro tanto e non voglio parlarne di più finché (e se mai) ci capiremo qualcosa allora lo farò, perché al momento gli altri accertamenti fatti da mio marito non hanno escluso e nemmeno confermato nulla. Insomma, non ho idea. Cioè, sta bene, ma bisogna capire se e per quanto ci sono cose che deve evitare di fare e se ci sarà una terapia da seguire. O se invece no, non c'è niente di cui preoccuparsi.

Detto questo, non vi annoierò con tutti i miei pensieri sul tempo che passa, sullo scegliere un anno, uno del passato, quello che più ci è piaciuto e poterlo vivere all'infinito, su questi pensieri deprimenti che ultimamente mi accompagnano, MA vi riporterò la tradizionale storia di Babbo Natale, perché ho bisogno di sentirmi normale, e niente come fare le solite cose riesce a farmi tenere i piedi per terra.

«Per Babbo Natale non era il giorno giusto. L’idea di farsi tre o quattro volte il giro del pianeta, gridando “ho ho” a Dasher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donner, Blitzen e Rudolf e scarrozzare per il cielo lasciandosi dietro una scia di sbriluccicanti freschi fosforescenti gli era sempre piaciuta, in fondo. Era come la notte della prima, e il tutto era molto hollywoodiano, compresa quella schifosissima Cacca Cola che lo costringevano a bere negli spot in TV. Ma quest’anno era diverso: peso sullo stomaco, sicuro che il costume rosso con il pelo bianco gli avrebbe tirato sul sedere e sulla pancia anche più dell’anno prima. Comunque sia, pensò, c’è una pipinara che mi aspetta e non posso deluderli. Ed ecco che Santa scende nella stalla: nessuno ha preparato la slitta, strano. Attacca le renne, e gli paiono bizzosette anziché no, compreso Rudolf che va orgoglioso del naso rosso che fa tanto Natale e ricorda certi hobby del capo. Spingi, sposta, slaccia, riallaccia, alla fine sono più o meno tutte al loro posto, ma Vixen scalcia, le altre si imbizzarriscono, la slitta si rovescia su un fianco, un pattino esce dalla sua sede. Santa bofonchia e accenna anche alcune considerazioni su quella zoccola di Vixen che ha un nome da fumetto porno… Si china per risistemare il pattino e… crack. I pantaloni gli si sgarrano proprio al centro… lo sapevo… lo sapevo. Reggeranno? Be', prima finiamo di caricare, poi se c’è tempo gli diamo una cucitina. Arriva davanti al capannone dei regali, ma c’è uno strano silenzio: e dire che a quest’ora dovrebbe brulicare di elfi che preparano le cataste di pacchi. Neanche l’ombra. Strizza gli occhi: cos’è quella roba attaccata al portoncino? Un foglietto: la Elf (Elfi lavoratori fuori orario) dopo svariati ammonimenti per il mancato pagamento degli straordinari di notturno e prefestivo, proclamano lo sciopero a oltranza. Santa è un uomo paziente e soffoca l’imprecazione. Poi medita sul da farsi e decide che ci vuole una Tennent super o meglio una Scotch Ale. Ma prima bisogna avvertire gli gnomi che si sobbarchino anche il lavoro degli elfi. Già a qualche passo di distanza avverte una strana inquietudine: che cos'è quel foglio bianco sulla porta del capanno degli gnomi? Ovvio, un avviso: la Gnoms (Gnomi notoriamente ormai molto sindacalizzati), pur avendo un contratto tutto compreso non possono non dare la loro solidarietà agli elfi, e proclamano uno sciopero immediato e irrevocabile. Be', a questo punto l’esasperazione si può curare solo con due birre. Entra, apre il frigo: vuoto. Gesù, Giuseppe e Maria: saranno in magazzino, e meno male che qui fa freddo, perché la birra calda, quella proprio no. Primo stanzone, solo casse di birra vuote, o meglio piene di vuoti. Be', saranno nel secondo stanzone. Niente. Dietro gli attrezzi, zero. Forse in cucina. Ci arriva trafelato, bofonchiando, reggendosi i pantaloni, soffocando con sempre minor successo le imprecazioni. Entra sbattendo la porta, fruga dappertutto, niente birra. Toc toc. Bussano. “Avantiiiii” (chi viene a rompere in un momento come questo????). La porta si socchiude, sulla soglia un angelo meraviglioso, riccioli d’oro dappertutto, fin sulle spalle, due occhi azzurri come laghi alpini, due ali ricche e pur garbate. Un angelo così bellino che gli mancava una Ceres in mano per sembrare un miracolo. Ma sottobraccio, invece, portava un piccolo abete di un verde intenso, un albero di Natale, come si chiamano oggi. L’angelo guardò in silenzio Santa che ormai schiumava rabbia e poi, melodioso mellifluo e se vogliamo anche un po’ irritante, scandì: “Babbo Natale, Babbo Natale, questo dove lo metto?”. Ed ecco spiegato perché in cima a tutti gli alberi di Natale, sulla punta, c’è infilato un angioletto.»

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