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Nostalgia

Avete dei sogni di quando eravate bambini che vi sono rimasti impressi più di altri? Intendo sogni veri, quelli che si fanno di notte a occhi chiusi mentre si dorme, e intendo quando eravate proprio bambini, innocenti, quando ancora le paure che avevate non vi potevano assalire con troppa angoscia.
Io alcuni me li ricordo talmente nitidi e vivi che mi sembra di averli fatti ieri; sarà che quando eravamo piccoli io e mio fratello condividevamo la stanza, e dunque in particolare d'estate, quando potevamo starcene a letto fino a tardi anche se già svegli, di tanto in tanto ci raccontavamo i sogni appena fatti. Probabile che raccontarli li abbia mantenuti vivi.
Una volta, per esempio, ho sognato che a casa dei miei zii c'era una stanza in più. Ero lì con mia cugina e accanto alla camera da letto dei suoi genitori c'era una porta che dava su una stanza che non avevo mai notato prima. Non ho mai scoperto cosa ci fosse dietro quella porta, e ho sempre immaginato che la colpa di quel sogno fosse dovuta al fatto che ho sempre avuto fame di stanze. Perché ero abituata alla casa dei miei nonni, che invece di stanze ne aveva, e ne ha tuttora, a bizzeffe, tanto che a ripensarci a volte ti sembra di averne dimenticata una. A casa dei nonni c'è la stanza matrimoniale dove dormono tutt'ora, la stanza, che io ricordo essere stata sempre quasi completamente vuota, dove dormivano i genitori di mio nonno, che io non ho mai conosciuto; una stanza nella quale non era rimasto nemmeno il letto matrimoniale, spostato non so dove, forse buttato, e soprattutto era la stanza dove si andava a prendere la Diavolina, quella per accendere la stufa a legna giù in cucina. Chissà perché tenevano la Diavolina proprio lì. Poi c'era la stanza che era stata di mio papà, e che nelle lunghe estati da bambini diventava, a turno, la stanza mia o di mio fratello, quando facevamo le vacanze dai nonni, ma separati (per non lasciare mia mamma da sola - notare che la distanza tra la casa dei miei nonni e quella in cui abitavamo noi è di 10 minuti scarsi di macchina). Poi c'è la stanza che era stata di mio zio, fratello di mio papà, che per un periodo, quando i miei abitavano dai miei nonni e mio fratello era piccolo, era stata di mio fratello, e che non è stata di nessuno, che io sappia, dopo che sono nata io. Una stanza che non ricordo nemmeno bene, a pensarci, e nella quale non entro da una vita. Sarà forse per il rapporto difficile che hanno sempre avuto mio papà e suo fratello che non me ne sono mai interessata veramente. Ricordo solo vagamente un letto un po' sgangherato. Chissà ora com'è. E poi c'era la stanza con i due letti separati, la stanza dove hanno dormito per un po' i miei genitori prima che io nascessi (quella volta però i letti li avevano uniti), e quella la ricordo bene: i letti inverosimilmente alti, e duri, il comò di fronte con sopra la sveglia stile vecchio azzurra e i copriletti, sempre gli stessi copriletti azzurro stinto. Lì era dove dormivamo io e mio fratello quando passavamo le vacanze da loro insieme. Ogni tanto, da piccola, ricontavo mentalmente le stanze per essere sicura di ricordarle tutte, oppure cercavo di ricordare se ci fosse una stanza in più che magari non avevo ancora esplorato. Poi naturalmente c'era la soffitta e le due rampe di scale per arrivarci, sempre un po' buie, che diventavano un gioco, come se si andasse anche lì verso un piano mai scoperto prima della casa, e invece ci si ritrovava sempre nella solita soffitta spaziosa e piena di grano, con qualche "cianfrusaglia" d'epoca che cianfrusaglia non era e che se non avessero venduto chissà quanto varrebbe oggi. E poi le foto vecchie, in bianco e nero, mio papà paciocco e con quella banana in testa che i miei nonni si ostinavano a fargli e che lui tanto odiava.
E il cortile dietro, non il cortile della casa ma quello più piccolo al quale si accede addirittura da una porta, anche quello posto di tanti pomeriggi passati a giocare sulla montagna di ghiaia, o ad arrampicarsi sugli alberi da frutta, o a vedere mia nonna che ammazzava i polli o mio nonno che "gussava" (cioè che faceva il filo) alle lame con una specie di bicicletta fatta di legno. E dietro ancora un altro orto (perché ce n'è uno anche davanti) e il letamaio, ah sì, e come dimenticare il fantastico "cesso", il minuscolo bagno esterno, quello che probabilmente una volta, tanti anni fa, era l'unico bagno, con dentro solo il water, e che di tanto in tanto mia nonna usava ancora, quando era fuori a fare qualcosa e le scappava d'urgenza. E dietro ancora tutta la vigna, che adesso non c'è più da quando mio nonno si è operato al cuore e non è più il caso che esageri con gli sforzi, la vigna che mi ricorda le giornate passate a vendemmiare, a settembre, a ridosso del mio compleanno: una festa con tutta la famiglia, i parenti che non vedi mai e che nemmeno conosci, e i vicini di casa e gli amici dei miei nonni, le battute (come dimenticare il fratello di mio nonno, mio zio Dino quando parlando di non so chi ha detto "no no, non è brutta, fa solo schifo"), la voce della Natalina, la quasi dirimpettaia e il suo modo di chiamare "Vittoria" (che è il nome di mia nonna). I cani, Rocky e Jerry, quando moriva un Rocky prendevano un altro cane che si chiamava Rocky anche lui, e quando moriva Jerry veniva sostituito da un nuovo Jerry, sempre nelle stesse due cucce mezzo sgangherate. E mia nonna che preparava loro i pastoni con il pane vecchio, e quella volta che non so più che parente è entrato e ha detto senti che buon profumo mi fermo a pranzo, e mia nonna ridendo ha risposto che era il mangiare del cane ad avere quell'odore.
La "dio porcaso cane" (scusate, ma non si può rendere l'idea se non così), che era il nome con la quale chiamavamo io e mio fratello un'amica di mia nonna, perché arrivava e bestemmiava sempre, ed era la stessa che una volta, arrivata lì lamentandosi di essere stanca, alla domanda di mia nonna "perché cos'hai fatto?" ha risposto "i ài taconàt dut al dì" (taconà può voler dire rammendare, ma anche scopare, e lei diceva di averlo fatto tutto il giorno) suscitando l'ilarità generale, soprattutto di mia nonna che ha la cosiddetta "ridarola" ed è pure contagiosa.
Il ciliegio, il ciliegio davanti casa, che non c'è più, quante ciliegie abbiamo mangiato durante l'estate, la scala di legno sempre appoggiata per andare a raccoglierle. La vasca, sempre davanti casa, e l'odore del sapone di Marsiglia e del bucato steso lì fuori. Lavarsi i piedi in quell'acqua gelida. L'anguria immersa nell'acqua fresca. La caccia alle lucciole con tanto di frittata di lucciole che si faceva con un sasso spiaccicandole sul bordo della vasca (avevamo già il gusto del macabro, a quanto pare). La presa dell'aria che usciva dalla cucina e che era collegata al caminetto della cucina esterna quella che si trova nel cortiletto sul retro, e mio fratello da una parte e io dall'altra, a comunicare a distanza, attraverso quella grata. Le grigliate. Le cene. La stalla, piena di pulcini e con le gabbiette degli uccellini, la passione di mio nonno. L'orto, quello sul davanti, quello bello con i fiori oltre agli ortaggi. Il portico, sotto il quale giocavamo d'estate quando pioveva, o lavavamo i pomodori per fare la conserva. La gara a chi sbaccellando fagioli ne trovava di più di colore violaceo. Pulire le tegoline. Il dondolo...
Ma soprattutto la cucina. Il vero luogo della casa, l'unico davvero caldo, con il divano su cui ci si sedeva mentre si aspettava che fosse pronto e quando avevi finito di mangiare, il mobiletto della macchina da cucire, la vecchia TV, quella non c'è più ma da pochi anni. La lavatrice in cucina, la cucina quella vecchia con la stufa più grande, quella che c'è adesso non è più la stessa. Il caffè con il ghiaccio, d'estate, o con una pallina di gelato. Il vino bianco con lo zucchero prima di mangiare. Il salotto inutilizzato, perché il cuore della casa non è lì. Il cuore batte solo in un luogo, quello più caldo di tutti.
E non dico i posti bizzarri dove si nascondono le chiavi di riserva, perché sono gli stessi ancora oggi.
Quante ne avrebbe da raccontare in più mio fratello, su quella casa: la gazza che parlava e imitava l'abbaiare dei cani, la voce della Natalina e la risata di Afra, o quando mio nonno aveva le mucche e la stalla era una stalla vera e propria. Cose che conosco solo perché me le hanno raccontate.
È ancora così bella e grande la cara vecchia Pia, perché la casa dei miei nonni ha un nome ed è scritto in blu sul davanti, che non basta un post a descrivere tutto ciò che mi fa tornare in mente, ma spero di essere riuscita a evocarne almeno un po' la magia, e la nostalgia che mi suscita il solo pensarci.

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